Disuguaglianze e coronavirus: nessuno va lasciato solo

In questo momento particolarmente difficile per tutte e tutti, è drammaticamente evidente come le disuguaglianze facciano sentire ancora di più il loro peso nei momenti di crisi.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]In que­sto momen­to par­ti­co­lar­men­te dif­fi­ci­le per tut­te e tut­ti, è dram­ma­ti­ca­men­te evi­den­te come le disu­gua­glian­ze fac­cia­no sen­ti­re anco­ra di più il loro peso nei momen­ti di cri­si. Situa­zio­ni che, som­man­do­si alle misu­re sani­ta­rie e alla minac­cia posta dal­l’e­spo­si­zio­ne al con­ta­gio, diven­ta­no inso­ste­ni­bi­li o emer­go­no da una sup­po­sta invi­si­bi­li­tà, ma con cui le per­so­ne si sono misu­ra­te pri­ma del coro­na­vi­rus e si misu­re­ran­no anche dopo, anco­ra più duramente. 

Come ha scrit­to Giu­sep­pe Civa­ti, abbia­mo sco­per­to che non si vive soli. Che esi­ste una cosa chia­ma­ta socie­tà. E tut­ti e tut­te colo­ro che sono tenu­ti ai mar­gi­ni, per qual­sia­si moti­vo e ognu­no con moda­li­tà diver­se, non devo­no esse­re lascia­ti, anco­ra, soli.

Con que­sto in men­te abbia­mo scrit­to que­sta mozio­ne da pre­sen­ta­re nei Con­si­gli Comu­na­li per chie­de­re che le ammi­ni­stra­zio­ni cit­ta­di­ne si impe­gni­no a tro­va­re solu­zio­ni per chi è sen­za fis­sa dimo­ra, in que­sti gior­ni in cui sta­re a casa, para­dos­sal­men­te, è la paro­la d’ordine, desti­nan­do gli spa­zi ido­nei del patri­mo­nio pub­bli­co, bloc­can­do le pro­ce­du­re di sfrat­to, con­sen­ten­do con ogni mez­zo il rispet­to del­le misu­re sanitarie. 

Nes­su­no deve esse­re lascia­to solo.

Dai lavo­ra­to­ri e lavo­ra­tri­ci sen­za tute­le e sen­za retri­bu­zio­ne (pre­ca­ri, par­ti­te iva, free­lan­ce…), che sia­no nei musei (chiu­si), negli spet­ta­co­li (sospe­si), o nel food deli­ve­ry (che imper­ver­sa anche dove non sareb­be neces­sa­rio, come se nien­te fosse). 

Alle fami­glie in dif­fi­col­tà fin dall’inizio, quan­do le scuo­le han­no chiu­so e i geni­to­ri han­no con­ti­nua­to a lavo­ra­re (anche per loro abbia­mo lan­cia­to una rac­col­ta fir­me, la tro­vi qui), e mol­ti con­ti­nua­no anche ora, nono­stan­te la sup­po­sta serrata. 

Agli ope­rai e ope­ra­ie e a tut­ti colo­ro che, appun­to, con­ti­nua­no a lavo­ra­re, per­ché non pos­so­no per­met­ter­si di fer­mar­si o per­ché non glie­lo per­met­to­no. Dico­no che han­no chiu­so tut­to, ma è fal­so. E que­sto met­te a rischio la popo­la­zio­ne. Il siste­ma pro­dut­ti­vo, sal­vo rare ecce­zio­ni dav­ve­ro essen­zia­li, dove­va esse­re fer­ma­to. In ogni caso, se le fab­bri­che sono aper­te, così come gli uffi­ci, allo­ra è inac­cet­ta­bi­le che non sia­no pro­tet­ti i lavo­ra­to­ri (lo riba­dia­mo, è neces­sa­rio fer­ma­re le fab­bri­che che non pos­so­no garan­ti­re gli stan­dard di tute­la del­la salu­te: non si deve esse­re costret­ti a sce­glie­re tra salu­te e lavo­ro).

A chi potreb­be lavo­ra­re in smart-wor­king, con­si­glia­to ma non obbli­ga­to­rio per tut­ti colo­ro che potreb­be­ro svol­ger­lo, in sicu­rez­za, men­tre inve­ce avreb­be dovu­to esse­re una del­le solu­zio­ni in pri­ma linea, tra un decre­to e l’altro.

Alle don­ne e ai bam­bi­ni vit­ti­me di abu­si dome­sti­ci, e a tut­ti colo­ro per cui la neces­si­tà di resta­re in casa signi­fi­ca espor­si costan­te­men­te e ulte­rior­men­te a vio­len­ze e ad abusi.

chi si tro­va fuo­ri dal pae­se, spes­so per for­mar­si o per ave­re un’opportunità che qui non ha tro­va­to, e non sa dav­ve­ro come com­por­tar­si (sono 47.000 solo le stu­den­tes­se e gli stu­den­ti Era­smus quest’anno, a cui van­no aggiun­ti dot­to­ran­di, lavo­ra­to­ri sta­gio­na­li e tut­te le per­so­ne che cer­ca­no di tor­na­re a casa).

A chi è in car­ce­re, in ambien­ti pie­ni al 119%, secon­do l’ultimo rap­por­to dell’Associazione Anti­go­ne, che da gior­ni pri­ma che scop­pias­se­ro i disor­di­ni avver­ti­va che la sospen­sio­ne dei col­lo­qui in un ambien­te come quel­lo car­ce­ra­rio sareb­be sta­ta esplosiva.

chi è rin­chiu­so nei CPR, spes­so in con­di­zio­ne di salu­te già vul­ne­ra­bi­li, in strut­tu­re che non con­sen­to­no il rispet­to del­le misu­re di sicu­rez­za e che ver­sa­va­no in situa­zio­ni abi­ta­ti­ve e uma­ni­ta­rie pre­oc­cu­pan­ti e più vol­te denun­cia­te già pri­ma del­la minac­cia del contagio. 

Tut­te e tut­ti devo­no esse­re mes­si in con­di­zio­ne di supe­ra­re que­sta emergenza. 

E di ave­re anco­ra un futu­ro, dopo. Per­ché per poter dire che “andrà tut­to bene”, biso­gna crea­re le con­di­zio­ni, pro­get­ta­re il futu­ro. Non solo per colo­ro i qua­li “anda­va già bene”. 

Chis­sà se sba­di­glie­re­mo anco­ra quan­do ci par­le­ran­no di scuo­la, ricer­ca e sani­tà, chis­sà se coglie­re­mo l’opportunità non per tor­na­re alla nor­ma­li­tà, ma per imma­gi­na­re un mon­do diver­so da quel­lo che abbia­mo sem­pre visto.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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