[vc_row][vc_column][vc_column_text]Sembra davvero, in questi giorni, di trovarsi in uno di quegli incubi in cui non c’è limite al peggio: in cui, toccato il fondo, c’è sempre qualcuno che inizia a trivellare per aumentare l’assurdo auto-lesionistico in cui si è sprofondati.
E’ questo il contesto in cui si colloca perfettamente la notizia che Donald Trump, attraverso una EPA (Agenzia per la protezione dell’ambiente, statunitense) ormai irriconoscibile, decide di riaprire all’utilizzo dell’amianto in edilizia.
Certo, si tratta dello stesso Trump che definisce i cambiamenti climatici una “bufala inventata dai cinesi per nuocere all’economia americana”, lo stesso che aumenta le sovvenzioni e i favori normativi all’industria del carbone, perché altrimenti l’energia elettrica prodotta in quel modo sarebbe totalmente fuori mercato… Insomma, è pur sempre la decisione di uno che ci ha abituato a sparate e scelte prive di ogni fondamento scientifico (trova le somiglianze!), dettate soltanto dal potere delle lobby e degli interessi internazionali che difende e rappresenta.
Eppure, che vengano superati certi limiti, che apparivano oggettivamente invalicabili, lascia senza respiro e senza parole.
Ancora più inquietante, subito dopo, arriva la probabile spiegazione dello scellerato proposito, ed emerge il potenziale beneficiario, come spiega bene Marina Catucci per Il Manifesto. Si tratterebbe della Uralasbest, un’industria di un magnate molto vicino a Putin, delle poche che ancora trattano e producono con il killer silenzioso (con grande orgoglio e sfacciataggine pubblica, tra l’altro).
Ancora una volta, quindi, dietro alle scelte dei potenti che portano morte a persone e territori, ci sono favori agli amici, e agli amici degli amici.
Ancora una volta “seguire i soldi” (e i rapporti di potere, e gli interessi) aiuta a capire meglio, come ci ha insegnato anni fa Giovanni Falcone.
E quindi, mentre in altri Paesi finalmente (seppur con estremo e criminale ritardo) si abbandonano le produzioni, la Russia di Putin si prepara a fare da monopolista, in barba alle centinaia di migliaia di vite interrotte drammaticamente tra lavoratori delle fabbriche della morte, familiari, abitanti delle zone circostanti, esposti di varia natura e di vario genere.
E mentre insorgono associazioni ed attivisti targati USA (che da tempo chiedono il bando totale dell’amianto), anche dall’Italia si leva la voce coraggiosa delle istituzioni di Casale Monferrato, attraverso la sindaca Titti Palazzotto e il consigliere comunale Luca Servato, che sulla lotta senza quartiere all’amianto hanno costruito l’identità di una comunità che non si arrende all’ingiustizia. Casale, insomma, non può tacere, e scrive alla Casa Bianca la propria preoccupazione e il proprio sdegno.
Ecco, assieme alla loro si leva, con tutte le nostre forze, anche la nostra voce. Perché, tra l’altro, si conosca un po’ meglio cosa c’è dietro gli uomini politici più potenti del mondo, a cui i leader sovranisti nostrani si ispirano con orgoglio.
Perché “i confini” l’ecologia non li conosce per definizione, perché vogliamo che nessuno possa dire che “non sapeva”, che “non sembrava”, che “ce lo chiede il mercato”.
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