[vc_row][vc_column][vc_column_text]Bei tempi quelli in cui i dossier sui magistrati, rei di aver pronunziato sentenze sgradite, si limitavano al colore turchese dei calzini e andavano in onda sulle tv berlusconiane.
Il governo del cambiamento, di cui sono responsabili in eguale misura la Lega di Salvini e il M5S della piattaforma Rousseau, ci ha regalato un notevole cambio di passo. Il ministero dell’Interno, infatti, nell’annunciare legittime impugnazioni giurisdizionali avverso le pronunzie del TAR di Firenze e dei tribunali civili di Firenze e Roma, che avevano accolto ricorsi rispettivamente sulle cosiddette zone rosse e sull’iscrizione degli stranieri al registro anagrafico, in senso opposto ai desiderata del ministero stesso, ha richiesto all’Avvocatura dello Stato di verificare se le tre magistrate coinvolte non avessero dovuto astenersi poiché, a seguito di un accurato dossieraggio sulle loro apparizioni pubbliche e sulle espressioni pubbliche del loro pensiero, sarebbe emerso che non sono d’accordo con il governo sul tema dell’immigrazione.
Immagino che stiano piovendo rassicurazioni sulla tenuta del nostro sistema democratico dagli intellettuali che hanno difeso a spada tratta gli editori legati a Casapound in occasione del Salone del Libro, sempre molto attenti a difendere la libertà di pensiero (dei fascisti, però) e nello stesso tempo a negare qualsivoglia deriva autoritaria.
Per ingannare l’attesa forse è opportuno interrogarsi sulla gravità di quanto sta accadendo e sul perché sia grave. E non per difendere genericamente una categoria, i magistrati, che sono persone e in quanto tali sbagliano, anche, a quanto pare, all’interno dei supremi organi del loro autogoverno, oppure individualmente le giudici coinvolte, che sapranno farlo da sole, ma per difendere, come sempre, i diritti di tutti noi come cristallizzati nella Costituzione.
Per difendere l’art. 101, dove dice che i giudici sono soggetti soltanto alla legge e non certo al ministero dell’Interno o al Governo.
Per difendere l’art. 104 che ugualmente ricorda come la Magistratura costituisca un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
Per difendere, prima ancora, l’art. 21, dove dice che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Un rapido esame delle norme fondanti del nostro ordinamento repubblicano dovrebbe far capire al ministro pro tempore che nel “tutti” dell’art. 21 sono compresi anche i magistrati, e che questa libertà di pensiero non può essere messa in correlazione ai loro provvedimenti, che devono essere formulati secondo la legge.
Ciò significa che il loro pensiero personale, anche se espresso pubblicamente, è irrilevante, poiché è sempre il sistema giudiziario, con le impugnazioni, che decide se le sentenze sono emesse secondo la legge. Non lo decide il ministro pro tempore, non lo decidono i suoi funzionari, non lo decide l’Avvocatura dello Stato.
Anzi, l’attività di dossieraggio, che ha lo scopo implicito di additare tre persone al pubblico ludibrio dei fans del ministro pro tempore, ove effettuata dal ministero, vista la sua evidente illiceità, dovrebbe essere invece posta al vaglio della Corte dei Conti.
Tutto questo, però, ci dice che stiamo cadendo sempre più in basso, che l’asticella dei diritti fondamentali si abbassa sempre di più, che c’è un ministro (pro tempore, ricordiamolo) che pensa che non si possa non essere d’accordo con il suo governo, anche se legifera male (soprattutto tecnicamente, basta vedere le norme sulla legittima difesa), sia che ciò riguardi il provvedimento di una giudice a Firenze o a Bologna, oppure il lavoro di una professoressa e dei suoi alunni a Palermo.
Il nostro dovere, come cittadini, è sempre e comunque quello di difendere lo Stato di Diritto, il nostro sistema giudiziario, la nostra Costituzione, perché se salta il sistema salta, e vale, tutto. Intellettuali permettendo, ovviamente.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]