Dove eravamo rimasti

Nel­la bol­la social poli­ti­ciz­za­ta e di sini­stra, quel­la di ieri è sta­ta la gior­na­ta del­le pri­ma­rie del Pd, per chi ne è mili­tan­te o elet­to­re, ma anche per chi c’è anda­to pur non essen­do­lo più ma vole­va dare un segna­le, e per­si­no per chi non ci è anda­to, ma ha fini­to comun­que per par­lar­ne. Que­sto qual­co­sa vor­rà pur dire, anche se non è det­to che voglia dire tutto.

Vale la pena, per que­sto moti­vo, riav­vol­ge­re il nastro e ricor­da­re cosa è suc­ces­so in que­sti ulti­mi anni, in par­ti­co­la­re dal 2013 in poi. Per­ché se poli­ti­ca­men­te le cose nel e per il Pd han­no ini­zia­to a cam­bia­re nel 2011 con il soste­gno al gover­no Mon­ti e alle misu­re “sal­va Ita­lia”, e poi con l’i­ni­zio del­le lar­ghe inte­se, è pur vero che all’e­po­ca il dan­no fu giu­sti­fi­ca­to da ragio­ni di respon­sa­bi­li­tà (anche se agli elet­to­ri non bastò, come giu­sti­fi­ca­zio­ne). È dal 2013, inve­ce, che quel­lo sche­ma poli­ti­co si è tra­sfor­ma­to da neces­si­tà a dise­gno, anzi a pro­gram­ma — mai discus­so né vota­to, peral­tro — pre­ci­so e volu­to. E quel dise­gno ha avu­to innan­zi­tut­to un nome, quel­lo di Mat­teo Ren­zi. È lui che per pri­mo ha rot­to il cen­tro­si­ni­stra, per­ché lo rite­ne­va uno sche­ma supe­ra­to, è lui che ha inse­gui­to il voto mode­ra­to con misu­re libe­ri­ste, ed è lui che, per buo­na misu­ra, ha anche caval­ca­to per pri­mo l’on­da popu­li­sta con­tro cui oggi tan­to si sca­glia, per meto­do e lin­guag­gio. Ed è anco­ra lui, con i suoi soda­li, per­si­no dopo le cla­mo­ro­se scon­fit­te, che con­ti­nua a riven­di­ca­re e ad auspi­ca­re quel­lo stes­so schema.

Comun­que la si pen­si sul­l’e­si­to di que­ste pri­ma­rie, quin­di, è indub­bio che abbia vin­to il can­di­da­to e l’op­zio­ne a quel­lo sche­ma in asso­lu­to più lon­ta­no, men­tre quel­lo che gli è più vici­no in purez­za è arri­va­to ter­zo, con per­cen­tua­li mar­gi­na­li. I più atten­ti e cri­ti­ci fan­no nota­re che è un po’ dif­fi­ci­le attri­bui­re a Zin­ga­ret­ti que­sta discon­ti­nui­tà, essen­do­si schie­ra­ti con lui mol­ti tra colo­ro che nel­la sta­gio­ne del ren­zi­smo han­no avu­to ruo­li fon­da­men­ta­li, nel par­ti­to e nel gover­no del Pae­se, da Gen­ti­lo­ni a Min­ni­ti pas­san­do per l’im­ma­nen­te Fran­ce­schi­ni. Ciò nono­stan­te, i votan­ti di ieri sem­bra­no voler dare cre­di­to, alme­no momen­ta­nea­men­te, a quel­la discon­ti­nui­tà, ed è una pro­mes­sa que­sta a cui Zin­ga­ret­ti in un modo o nel­l’al­tro dovrà tro­va­re il modo di rispon­de­re, a pre­scin­de­re dai suoi allea­ti con­gres­sua­li. Anche le pro­por­zio­ni del­la vit­to­ria lo dico­no: quel­le del 2017 furo­no pri­ma­rie vin­te da Ren­zi con 1,8 milio­ni di par­te­ci­pan­ti, in gran­de ribas­so rispet­to al con­gres­so pre­ce­den­te, pri­ma­rie stan­che che Ren­zi stra­vin­se sen­za nem­me­no dover gio­ca­re sul serio. A que­ste per ora se ne con­ta­no 1,7 — il dato non è defi­ni­ti­vo — ma stan­te la stes­sa stan­chez­za che le ha un po’ eclis­sa­te nel­le set­ti­ma­ne pre­ce­den­ti, nel­la man­ca­ta pre­sen­za, alme­no rispet­to al tem­po che fu, nel dibat­ti­to pub­bli­co, il risul­ta­to si con­si­de­ra comun­que posi­ti­vo, giac­ché la sen­sa­zio­ne è che potes­se anda­re peg­gio. E, se il risul­ta­to è posi­ti­vo, è per­ché la rispo­sta è arri­va­ta da un elet­to­ra­to di sini­stra che ha rispo­sto alla chia­ma­ta, e che ha volu­to cre­de­re in un cam­bio di rot­ta. Che ha volu­to insom­ma, per sin­te­tiz­za­re, pre­mia­re il can­di­da­to più diver­so dal Pd di que­sti ulti­mi anni.

Que­sto è ovvia­men­te inte­res­san­te per chi, come mol­ti di noi, il Pd lo ha lascia­to — o ha smes­so di allear­ci­si — dal 2013 in poi. Quan­do il ren­zi­smo era al suo api­ce, vola­va nei con­sen­si e oppor­si ad esso signi­fi­ca­va met­ter­si con­tro tut­ti i media che lo ado­ra­va­no, e un elet­to­ra­to — tal­men­te vasto da arri­va­re fino a For­za Ita­lia — che ne era sta­to con­qui­sta­to. Del perio­do fre­ne­ti­co — e che in modo altret­tan­to rapi­do si è bru­cia­to — in cui la mac­chi­na ren­zia­na pro­ce­de­va come una schiac­cia­sas­si, pun­ta­ta più ver­so gli allea­ti che ver­so gli avver­sa­ri, vale la pena ricor­da­re il filot­to di rifor­me e prov­ve­di­men­ti a cui ci oppo­nem­mo: dal­la nasci­ta del­l’en­ne­si­mo gover­no di legi­sla­tu­ra nato a tavo­li­no e com­po­sto da una mag­gio­ran­za inna­tu­ra­le e rac­co­gli­tic­cia (vedi Alfa­no, per chi se lo ricor­da), alle tri­vel­la­zio­ni libe­re del­lo Sbloc­ca Ita­lia, dal­la pes­si­ma Buo­na Scuo­la alla can­cel­la­zio­ne dei dirit­ti dei lavo­ra­to­ri del Jobs Act, fino alla disa­stro­sa e sui­ci­da rifor­ma costi­tu­zio­na­le. Ma non per­ché il pro­ble­ma fos­se sem­pli­ce­men­te Ren­zi in quan­to tale, ed è per que­sto che non basta libe­rar­si di lui per risol­ver­lo, ma per­ché lo era quel­lo sche­ma poli­ti­co, che infat­ti ha poi tro­va­to in Gen­ti­lo­ni un inter­pre­te più gar­ba­to e meno ingom­bran­te, ma non cer­to capa­ce di discon­ti­nui­tà, anzi: era nel suo gover­no Min­ni­ti, che sul­l’im­mi­gra­zio­ne ha fat­to di peg­gio e ha crea­to il ter­re­no idea­le per il suc­ces­so di Sal­vi­ni, ed è di quel gover­no la cer­vel­lo­ti­ca e demen­zia­le leg­ge elet­to­ra­le, di cui curio­sa­men­te nes­su­no par­la più.

A distan­za di qual­che anno, pos­sia­mo dire che su quel­le que­stio­ni ave­va­mo ragio­ne, dopo­tut­to (pur non essen­do sta­ti bra­vi a spie­gar­lo all’e­let­to­ra­to), e for­se è pro­prio il voto di ieri a Zin­ga­ret­ti a dimo­strar­lo, e chi lo ha vota­to pen­sa le stes­se cose. Chi lo sostie­ne, tra gli espo­nen­ti di pun­ta del Pd, ha nel frat­tem­po cam­bia­to idea? Da recen­ti dichia­ra­zio­ni di alcu­ni di loro, in pri­mis Gen­ti­lo­ni, non pare, ma in ogni caso lo vedre­mo con il pas­sa­re del­le set­ti­ma­ne. Toc­che­rà anche a Zin­ga­ret­ti stes­so chia­ri­re il suo pro­get­to, che nel­la cam­pa­gna con­gres­sua­le, fat­ta ecce­zio­ne alcu­ni pun­ti del­la sua mozio­ne, è sta­to abba­stan­za coper­to. Anche per com­pren­si­bi­li ragio­ni tat­ti­che, pro­ba­bil­men­te. Qua­li saran­no le pro­po­ste del suo Pd è un argo­men­to di inte­res­se per tut­ti, diret­ta­men­te o meno, ma al momen­to è anche una doman­da aper­ta. Per cita­re un esem­pio, a vit­to­ria acqui­si­ta, la sua dedi­ca a Gre­ta Thun­berg indi­ca una sen­si­bi­li­tà al tema ambien­ta­le che in que­sti anni non è cer­to sta­ta al cen­tro, e nem­me­no nel­la peri­fe­ria, del­la pro­po­sta del Pd. Lo stes­so Zin­ga­ret­ti è avver­sa­to da sini­stra, nel­la sua regio­ne, pro­prio su un tema green qua­le la tute­la dei par­chi, oltre che su altri capi­to­li riguar­dan­ti ad esem­pio la sani­tà pri­va­ta. Ma è anche vero che è sta­to l’u­ni­co espo­nen­te del cen­tro­si­ni­stra, in que­sta sta­gio­ne ini­zia­ta il 4 mar­zo del 2018, a ricon­fer­mar­si e a vin­ce­re un’e­le­zio­ne, che di que­sti tem­pi non è poco.

Inol­tre, Zin­ga­ret­ti non può non sape­re che il Pd da solo non basta, per atti­ra­re o ricon­qui­sta­re a sé ciò che si muo­ve nel popo­lo dif­fu­so che si oppo­ne alla deri­va di que­sto gover­no. Lo dimo­stra­no esem­pi recen­tis­si­mi: la mani­fe­sta­zio­ne mila­ne­se di saba­to, per sta­re alla strin­gen­te attua­li­tà, cer­to ave­va den­tro anche il Pd, oltre ai vari par­ti­ti del­la sini­stra, e ai sin­da­ca­ti, ma anche mol­ti altri che al momen­to non han­no casa poli­ti­ca, e non la tro­va­no nel­l’of­fer­ta esi­sten­te: han­no però le nostre stes­se pre­oc­cu­pa­zio­ni per quan­to suc­ce­de nel Pae­se, ed è for­se per que­sto che ieri alcu­ni di loro sono anda­ti a vota­re, e quin­di è fon­da­men­ta­le dare loro una rispo­sta, una rispo­sta che con­sen­ta loro di sta­re insie­me anche alle ele­zio­ni e non solo in piaz­za. Lo stes­so vale per le recen­ti regio­na­li in Abruz­zo e Sar­de­gna, in cui pur nel­la scon­fit­ta uno sche­ma lar­go e aper­to ha per­mes­so di rag­giun­ge­re un risul­ta­to meno nega­ti­vo che alle ele­zio­ni poli­ti­che di un anno fa, e che supe­ra di die­ci o più pun­ti quan­to il Pd potreb­be raci­mo­la­re da solo in una com­pe­ti­zio­ne nazio­na­le. E che la sola aggiun­ta di Calen­da di cui tan­to si discu­te — le cui pro­po­ste più con­cre­te ricor­da­no mol­to da vici­no, nel meri­to oltre che nel­lo sti­le, lo sche­ma pre­ce­den­te — non sem­bra poter col­ma­re e di cer­to non va nel­la dire­zio­ne del­la discon­ti­nui­tà che il voto di ieri ha indicato.

Il tem­po non è mol­to, anzi è a dire il vero pochis­si­mo: baste­reb­be un risul­ta­to poco inco­rag­gian­te alle euro­pee, fra soli tre mesi, per dare l’oc­ca­sio­ne ai tut­t’o­ra vivi e vege­ti pro­ta­go­ni­sti del­lo sche­ma poli­ti­co pre­ce­den­te di ripren­de­re vigo­re e met­te­re Zin­ga­ret­ti già sot­to pro­ces­so. Moti­vo per cui ser­ve resta­re vigi­li ed è pre­ma­tu­ro festeg­giar­ne l’ar­chi­via­zio­ne. In più, i nodi da scio­glie­re sono nume­ro­si, pie­ni di con­trad­di­zio­ni. Il nuo­vo Segre­ta­rio del Pd sem­bra ave­re un carat­te­re più dia­lo­gan­te, rispet­to a chi lo ha pre­ce­du­to, e que­sto è inco­rag­gian­te. Se si apris­se dav­ve­ro una nuo­va sta­gio­ne, ser­vi­reb­be pro­ba­bil­men­te un can­tie­re lar­go, in gra­do di discu­te­re tut­to — e di met­te­re in discus­sio­ne tut­to, soprat­tut­to — il cui esi­to può esse­re incer­to ma alme­no è pro­met­ten­te. Richie­de­reb­be tem­po, ma potreb­be dare qual­che segna­le posi­ti­vo già a par­ti­re dal­le sue pri­me fasi. Anche per­ché, del resto, di alter­na­ti­ve più con­vin­cen­ti al momen­to non se ne vedo­no mol­te.

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