Non parteciperemo alla Direzione Nazionale convocata per questa sera al Nazareno. Come abbiamo scritto in un comunicato mandato alle agenzie e agli organi di informazione poco fa, “della ventina di nostri delegati quasi tutti saranno assenti, giustificati dallo scarso preavviso della convocazione, un metodo che abbiamo più volte contestato e che riteniamo renda impossibile la partecipazione a chi non è a Roma e non fa il parlamentare. Ovviamente, come al solito, non abbiamo ricevuto alcun testo da valutare per preparare la riunione, è tutto nella testa di Renzi a cui facciamo tanti auguri per gli incontri molto più approfonditi che dedica a Berlusconi e Verdini. In nostra rappresentanza faranno presenza, ma senza partecipare al voto, Rita Castellani per consegnare un dossier sulla situazione delle acciaierie di Terni, e Maria Carla Rocca in qualità di sindaco preoccupato dall’effetto delle riforme sulle amministrazioni locali. Civati stesso, annullando un incontro fissato a Bruxelles, sarà presente per ascoltare il Segretario, in segno di rispetto, ma non parteciperà al voto della Direzione”.
Non è questione di Aventino, meglio chiarire, abbiamo sempre partecipato, tenuto il punto e votato coerentemente, ma più passa il tempo, più si ripetono queste occasioni e più diventa chiaro che in una discussione ci deve essere almeno la remota possibilità di uscire diversamente da come si è entrati. E questo è negato in premessa, diciamo, da Renzi: lo dice lui, “discutiamo ma la proposta non si tocca”. E allora che discutiamo a fare?
Ma non è tutto. Come ha spiegato Civati stamattina sulla Stampa, ormai queste occasioni servono a Renzi per distrarre i media dai suoi guai, hanno la funzione del Circo nell’antica Roma e i suoi interlocutori — ai quali si chiede di esserne lieti — il ruolo dei cristiani da far sbranare. Quando è in difficoltà — ed è in difficoltà sempre più spesso, perché le riforme sono al palo, e gli indicatori economici sono agghiaccianti, a essere generosi — cerca qualcuno da menare per uscirne come trionfatore e spostare altrove l’attenzione dell’opinione pubblica. A volte sono i sindacati, altre volte gli statali, i professori, i comitati per l’ambiente, dipende dal momento, ma in assoluto la sede che preferisce è la Direzione del Pd.
Renzi convoca sistematicamente la Direzione con poco preavviso — questa in particolare con due giorni di anticipo e un tono perentorio, “presenza obbligatoria” — anche perché così per la minoranza, specie la nostra che conta su pochi parlamentari, partecipare è ancora più difficile. Il suo scopo è occupare uno spazio mediatico e vincere una mano nel modo più indolore possibile, non è certo quello di discutere. Sull’ordine del giorno non scrive niente — “situazione politica” — per tenersi le mani libere, oppure tutto — stasera si parla di jobs act, di legge elettorale, di legge di stabilità, di riforme istituzionali, e se resta tempo dell’esistenza di Dio o quantomeno di una trattoria dove si mangi bene e si spenda poco — poi la fa iniziare con un’ora, o se serve anche due di ritardo.
Apre con la sua relazione e non parla mai meno di 40 minuti, dei quali i primi 20, da quando è premier e si sente cittadino del mondo, li passa a parlare di crisi internazionali in modo talmente scollegato dal resto e dal contesto che, spiace dirlo, davvero pare voglia solo darsi un tono. Poi cita il 40,8 fatto alle Europee, poi gli 80 euro, infine solo negli ultimi minuti entra un po’ nel merito, ma solo un pochino, perché non può sbilanciarsi, hai visto mai che poi debba modificare qualche dettaglio alla luce di un rinnovato patto del Nazareno: infatti, benché le poche cose votate nei mesi scorsi in quella sede fossero vaghissime, nel mercanteggiamento con la destra sono state tradite pure quelle. A quel punto lui si siede per controllare su Twitter cosa dicono del suo discorso, tutti i renziani in sala si alzano per andare a farsi i fatti loro, segue un dibattito breve e ininfluente, poi riparla lui per altri 40 minuti, di nuovo il 40,8 per cento, di nuovo gli 80 euro: e sembra una barzelletta, ma chi ha visto la Direzione anche solo una volta sa che è vero.
Infine si vota, finisce tanti a pochi — risultato già scritto che però viene enfatizzato senza pudore — perché quelle sono le proporzioni con cui quell’assemblea è stata nominata, e in tutto questo è stabilito, perché essenziale ai fini della riuscita della messa in scena, l’inedito ruolo della volonterosa vittima, che però questa volta decliniamo e lasciamo volentieri a qualcun altro: esattamente come faceva lui, quando disertava la Direzione definendola uno “stanco rituale” (salvo trasformarla in qualcosa di persino peggiore, da segretario). Così, una giornata che era iniziata con qualche organismo internazionale che ammoniva il Governo perché stiamo per fare la fine del Ghana finisce con Renzi trionfale su otto colonne perché ha spianato la minoranza del Pd, un tributo di sangue che evidentemente non ci salva dal rischio di diventare come un paese africano ma invece serve moltissimo a Renzi, immaginiamo, per sedersi al tavolo delle trattative con Berlusconi e Verdini, o quantomeno per tirare avanti qualche altro giorno parlando d’altro.
E anche stasera — pure se in nostra assenza — non sarà differente: finché dura (ma dura minga).