[vc_row][vc_column][vc_column_text]Sono passati pochi giorni dalla sparata di Salvini e già si fa largo tra tutte le opposizioni — ma proprio tutte, dal M5S al Pd fino a Forza Italia — la consapevolezza che forse dargli retta e votare subito non è poi questa grande idea. La notizia non è stata valorizzata adeguatamente, ma tre giorni fa, nel pieno del bailamme, Mattarella ha fatto uscire un comunicato di una riga che diceva, più o meno: “Io vado in vacanza”. Ed è partito per il mare. Altro che accelerazione, capito?
I giornali si sono già adeguati, e i titoli sono cambiati da “tutte le ipotesi del voto in ottobre” a “tutte le ipotesi di un governo di transizione”. Tutto nel giro di poche ore (possibile che l’esperienza non insegni la pazienza a chi si occupa di queste cose?). Ma soprattutto mi pare — ovviamente è solo un’impressione — che se ne stiano rendendo conto anche le persone comuni che più o meno seguono la politica, specie a sinistra, semplici elettori, simpatizzanti, militanti. Del resto si tratta di una banale constatazione. Quest’idea per cui negare a Salvini ciò che chiede voglia dire fargli un regalone, del resto, non si spiega, non ha basi razionali. Senza cadrega ministeriale, senza decreti, senza poteri per quanto non “pieni”, senza tg accondiscendenti, deve tornare al suo dato reale — il 17 per cento di parlamentari presi un anno fa — e abbandonare quello immaginario datogli dai sondaggi. E se oggi ritiene di poter ambire al 40 per cento correndo da solo, è difficile immaginare che dall’opposizione possa crescere ancora di più. Anche solo per un fatto di percezione: se dopo aver chiesto le elezioni non le ottiene, ne esce perdente, si prende uno schiaffone. E già questo basta a iniziare un cambiamento d’opinione nei suoi confronti.
Lo stanno capendo un po’ tutti, anche i “senza di me” renziani che al giorno uno di questa crisi molti identificavano nel vero ostacolo a una maggioranza alternativa, dimenticandosi che nelle liste elettorali del nuovo Pd di Zingaretti moltissimi fra loro resterebbero a casa. Il solito vizio di seguire la partita guardando i giocatori e non la palla, o viceversa. E quindi siamo ora al paradosso per cui Renzi vuole andare avanti mentre invece è proprio Zingaretti, accusato fino a ieri di tramare segretamente per costruire l’inciucio coi grillini, a spingere per il voto. Ma può Zingaretti consegnare il paese a Salvini pur di indebolire le truppe renziane, e perdendo peraltro le elezioni? Pagherebbe un caro prezzo, difficile da giustificare.
Non invidio il segretario del Pd, guida il partito stando fuori da un parlamento in cui gli eletti rappresentano una stagione precedente alla sua, per quanto molti nel frattempo si siano velocemente riposizionati. Peraltro, se davvero si votasse, guiderebbe la campagna elettorale stando ancora fuori dal gioco, o lascerebbe la presidenza della regione Lazio, mettendo anche quella in pericolo? E che ne sarebbe, simmetricamente, di Milano, se il candidato premier dovesse essere Sala? Tutto questo per trovarsi con un 25 per cento di parlamentari magari più coesi, certo, ma all’opposizione, e col rischio di perdere il “modello Milano” e la regione Lazio. È comprensibile che lui e i suoi oggi facciano professione di ottimismo, che dicano che si può vincere, ma realisticamente fra sistema elettorale, poco tempo a disposizione, mancanza di una proposta matura, le condizioni sono pesanti. E se il segretario eletto in primavera perdesse le politiche sei mesi dopo, difficile immaginare che non gli venga chiesto di pagarne lo scotto.
Ora bisognerà vedere cosa accade con il dibattito in Senato, il quando e anche il come, poi ragionevolmente Mattarella aprirà le consultazioni. Certo è difficile immaginare che dopo aver passato il tempo a insultarsi domani grillini e dem possano sedersi insieme per governare — anche se, giova ricordarlo, c’è pur sempre il precedente di Fassina e Brunetta che si scoprirono amiconi da acerrimi nemici che erano, giusto tre o quattro governi fa — ma le formule alternative al governo politico tradizionale sono tante, siamo pur sempre in Italia.
Quindi, per come la vedo io — e so di poter essere smentito a strettissimo giro, ma fa parte del gioco e accetto il rischio — Mattarella chiama Zingaretti e gli dice: non puoi andare a votare adesso, sei impazzito? Poi chiama Di Maio e gli garantisce la messa in sicurezza del reddito di cittadinanza e il taglio dei parlamentari. Poi dà l’incarico a uno tipo Cottarelli, anzi proprio a Cottarelli, a sfregio (di Salvini). Tutti pensano che sia inevitabile una manovra lacrime e sangue, ma è evidente che se davvero questo è lo scenario allora meglio lasciar perdere, sarebbe un suicidio. Ma questo non sarebbe il governo Monti, con lo spread a millemila, e non sono più quei tempi lì. Se la prospettiva è quella di evitare che l’Italia vada col gruppo di Visegrad, di evitare insomma che la terza economia del continente diventi antieuropeista e filo-Putin (c’è pur sempre un’inchiesta che pende sulla capoccia del capitano, a proposito dei rapporti con la Russia, anche se curiosamente nessuno sembra voler usare l’argomento), un fatto senza precedenti e di una pericolosità assoluta, non è da escludere che l’Europa si ammorbidisca e che molli un punto di Pil in deficit o comunque abbastanza per consentire al nuovo governo di fare qualcosa di buono senza strozzare gli italiani. Se poi andasse avanti l’iter della riforma costituzionale, questa volta possibilmente più condivisa, e si discutesse una nuova legge elettorale, magari proporzionale pura, che sarebbe la ciliegina sulla torta, a quel punto campa cavallo, non si voterebbe proprio più, fino a fine legislatura o quasi.
Se tutto questo avvenisse, il serio e pacato Cottarelli diventerebbe improvvisamente popolarissimo, perché gli italiani sono fatti così, e tutti si precipiterebbero a dire che in Italia c’è un nuovo assetto politico, cosa che come ci insegnano le esperienze recenti sarebbe persin prematuro e quasi certamente azzardato, così come le opposizioni farebbero bene a non accontentarsi dello scampato pericolo sfruttando il tempo guadagnato per costruire — o ricostruire — una proposta sensata. Però intanto avremmo evitato di star sotto il primo governo Salvini, e scusate se è poco.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]