Ha ragione il Presidente del Consiglio Draghi a dire, come ha fatto pochi giorni fa in visita all’all’Its Cuccovillo di Bari, che per troppi anni “l’Italia si è dimenticata delle sue ragazze e dei suoi ragazzi”. Non potremmo essere più d’accordo.
Il problema è che ammetterlo è solo un primo passo necessario, ma non sufficiente, per invertire la rotta. Le cose si cambiano cambiandole e, in questo caso, proprio perché nel nostro paese l’istruzione e il futuro delle nuove generazioni sono stati troppo spesso trascurati, occorrerebbe fare molto di più per ribaltare le consuetudini.
La retorica, sempre la stessa, “a voi giovani il compito di trasformare l’Italia, con passione, determinazione e — perchè no — un pizzico di incoscienza” dovrebbe essere sostituita da proposte concrete, che prendano in considerazione davvero il punto di vista e i bisogni delle nuove generazioni.
Sgombriamo subito il campo da un equivoco di fondo: i giovani sono ben “coscienti” dell’incoscienza che ci vuole per progettare il proprio futuro in Italia, senza rinunciare alle ambizioni e provando a tenere insieme studio, lavoro, tempo libero e sfera privata. Chiedere più incoscienza di quella che viene messa in conto di default per non affogare nel mare magnum di disagi, mancate opportunità, sfruttamento e salari da fame non solo suona paternalistico, ma anche irragionevole.
Facciamo noi una proposta: invertiamo il racconto.
Se fossero le nuove generazioni a chiedere una vera presa di coscienza — non “un pizzico di incoscienza” — rispetto a tutte le lotte e le battaglie che i giovani che portano avanti da anni?
Se, ad esempio, chi è al governo prendesse sul serio le richieste di giustizia climatica, giustizia sociale e diritti di cui le nuove generazioni si fanno portatrici da anni?
In fondo, le richieste sono sempre le stesse proprio perché, governo dopo governo, nessuno se n’è mai occupato davvero. Ciò che è cambiato è l’urgenza: non c’è più tempo, occorre agire ora, non bastano più i buoni auspici.
Tornando all’istruzione, ad esempio, viene da chiedersi come mai il governo abbia ancora una volta trascurato l’università e la ricerca nella ripartizione dei fondi del PNRR. Perché non ci si impegna fino in fondo a rendere accessibile il patrimonio culturale offerto dai nostri atenei?
Siamo certi che Presidente Draghi e i suoi ministri conoscano il Piano Amaldi, dal momento che lo hanno scartato eliminandolo dal PNRR. Il Piano era stato proposto dal fisico Ugo Amaldi e sostenuto da una rete di accademici e mirava a riportare l’Italia in pari con gli altri paesi europei in relazione agli investimenti pubblici nella ricerca di base. Eppure, anche di fronte a quest’occasione straordinaria offertaci dai fondi europei, si è scelto di ridimensionare la spesa in ricerca (leggasi futuro), negando nuovo ossigeno proprio alle nuove generazioni.
Gli slogan non bastano, occorre dare davvero voce e strumenti alla “next generation”, con la consapevolezza che, affinché i giovani siamo protagonisti, la politica deve essere aperta e accessibile e che, senza la garanzia di diritti e dignità, nessuna persona, giovane o meno giovane, potrà permettersi l’incoscienza, la passione e la determinazione ideale per progettare il paese del futuro che Draghi chiede ai giovani.