di Chiara Bertogalli
La natura si rigenera, di continuo. È anche questo concetto, profondamente radicato in ognuno, perchè parte della nostra biologia, che non permette di afferrare davvero il senso di “risorse finite”. Eppure, occorre introdurre una precisazione non da poco: la natura si rigenera di continuo, ma di continuo i sapiens ne prelevano le risorse biologiche. A che ritmo? Con quale velocità? La natura fa in tempo a rigenerarsi? La risposta è no. Non fa in tempo, siamo troppo voraci. Ce lo ricorda ogni anno il Global Footprint Network, che ha impostato un calcolo su base annua, declinabile per ogni paese, che mostra l’impronta ecologica della nostra specie sul pianeta. Noi mangiamo, ci vestiamo, usiamo legname, acqua, peschiamo, viaggiamo e facciamo viaggare merci, alleviamo gli animali. Produciamo rifiuti e CO2 con il nostro stile di vita. Ed è proprio quello stile di vita a svelare quanto impattiamo sulle risorse necessarie per mantenerlo, ancora e ancora.
Si produce e si consuma in modi ancora troppo dispendiosi in temini energetici e di risorse. Le merci e gli alimenti fanno il giro del mondo bruciando combustibili fossili. La terra è sovrasfruttata: se il mondo intero mantenesse lo stile di vita europeo, occorrerebbero 2,8 pianeti per darci le risorse che consumiamo ogni anno. Le popolazioni che ancora non hanno uno stile di vita basato sul consumismo abbassano la media globale, portando il conteggio a 1,6 pianeti: utilizziamo il 60% in più di quanto si possa rinnovare. Un enorme consumo di risorse naturali deriva dalla filiera della carne e dell’allevamento animale intensivo. Per fare spazio alla filiera della carne, si arriva a bruciare le foreste, la cui integrità è una risorsa fondamentale per la vita.
Gli oceani sono sovrasfruttati per le risorse ittiche, l’ecosistema marino viene impoverito e l’habitat degradato: come in un implacabile circolo vizioso, diminuisce la capacità della biosfera di riassorbire la CO2, a cui gli oceani contribuiscono per circa il 40%.
Oggi fa caldo, caldissimo, in tantissimi hanno il condizionatore acceso: farà sempre più caldo, e lo si accenderà sempre prima e per più tempo. Fuori dalla finestra, la città sigillata da coperture di asfalto e cemento diventa ogni anno più calda, poichè la mancanza di suolo libero da asfalto trattiene maggiore calore e ne rallenta la dissipazione nelle ore notturne.
Quest’anno il Covid19 ha determinato una riduzione dell’impronta ecologica: per farci un’idea, ha spostato avanti di circa tre settimane l’overshoot day. Se i sapiens si fermano, la natura ha il tempo di rigenerarsi. Purtroppo quindi la notizia positiva non deriva da un miglioramento sostanziale dell’utilizzo delle risorse, ma da una situazione di crisi che ha imposto uno stop. Assistiamo già da ora alla ripresa ancora più affamata di quel capitalismo predatorio che non sembra volersi evolvere davanti a nulla.
Nonostante ciò, le soluzioni vanno cercate con forza, volute dalla politica su spinta dei cittadini, adottate dal mondo dell’innovazione e delle imprese lungimiranti ed incoraggiate in modo concertato e concreto dalle istituzioni nazionali ed internazionali.
Enormi cambiamenti positivi possono avvenire nell’agroindustria, nell’uso delle energie rinnovabili, dei trasporti, nelle scelte che facciamo al supermercato (inclusa quella di andarci sempre meno, al supermercato, magari per favorire il commercio di prossimità, le filiere cortissime, il km zero).
Enormi cambiamenti possono avvenire nelle città, dove può essere rivoluzionato il modo di spostarsi attraverso la ciclabilità e i mezzi pubblici su rotaia, urbani ed interurbani. Città dove si può ripensare ed integrare il verde e le rinnovabili per accrescere le funzioni ecosistemiche necessarie a ridurre l’impatto e il conto energetico, creare nuovi spazi per incontrarsi e vivere a diverse velocità, nuovi percorsi di scambio commerciale e di socialità, strutturare uno smartworking sostenibile anche a livello familiare. Le abitazioni possono essere rese più efficienti in termini energetici. Tutto questo mentre si creano nuovi posti di lavoro.
È il momento di intervenire per gestire i problemi che sono stati creati, con la sostenibilità e la rigenerazione in testa, smettendo di vivere alle spalle delle prossime generazioni. I dati dell’overshoot day e del collasso climatico parlano chiaro: noi vogliamo ascoltare.