Emergenza climatica: la questione è, prima di tutto, culturale

E' fondamentale fare un salto culturale per capire l’epoca che stiamo vivendo. E' fondamentale rendersi conto che i danni e le conseguenze delle nostre scelte non si vedranno tra 100 o 150 anni ma si vedranno tra 30/40 anni massimo e quindi saremo noi stessi o le generazioni immediatamente successive alla nostra a subire queste conseguenze.

di Wal­ter Girardi

“Non pos­sia­mo pre­ten­de­re che le cose cam­bi­no, se con­ti­nuia­mo a fare le stes­se cose.” Su una tavo­let­ta di legno, all’e­ster­no di un rifu­gio di mon­ta­gna, tro­vo que­sta cita­zio­ne di Albert Ein­stein. Già sen­ti­ta e già cita­ta tan­te vol­te, que­sta vol­ta però, a oltre 2.000 metri di alti­tu­di­ne, mi pren­de in pie­no viso e mi stordisce.

Ripen­si agli ulti­mi vent’anni, alle con­se­guen­ze nefa­ste dei cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci che diven­ta­no “la rego­la e non più l’eccezione”, alle tan­tis­si­me fra­ne atti­ve e moni­to­ra­te lun­go lo sti­va­le e alle cola­te di cemen­to che nel frat­tem­po abbia­mo vomi­ta­to tra­mi­te decre­ti e stru­men­ti che han­no spun­ta­to le poche dife­se in mano alla natu­ra per pro­teg­ger­si e tute­lar­si. 

Pen­si a Gre­ta e ai ragaz­zi dei FFF, ripen­si ad Alex Lan­ger e a tut­ti quel­li che han­no cer­ca­to di met­ter­ci in guar­dia rispet­to al fat­to che len­ta­men­te stia­mo segan­do il tron­co su cui sia­mo sedu­ti e inve­ce di smet­te­re di sega­re il ramo aumen­tia­mo il rit­mo del taglio. Ripen­so anche alle sta­gio­ni del cemen­to, allo Sbloc­ca Ita­lia, o alle attua­li Ita­lia Shock o Ita­lia Velo­ce che dimo­stra­no di esse­re pro­po­ste tre­men­da­men­te vec­chie nei con­te­nu­ti, pro­prio per­ché sono il frut­to di una con­ce­zio­ne ideo­lo­gi­ca che si è fer­ma­ta a pri­ma del­la Con­fe­ren­za di Rio de Janei­ro del 1992, quan­do fu codi­fi­ca­to il con­cet­to di svi­lup­po sostenibile.

Dal 1992 il mon­do sta cam­bian­do in peg­gio e men­tre la socie­tà civi­le si mobi­li­ta le isti­tu­zio­ni pren­do­no tem­po, bal­bet­ta­no oppu­re ripro­pon­go­no lo stes­so libro cam­bian­do sola­men­te la coper­ti­na. 

Sono poli­ti­che fuo­ri da ogni logi­ca e soprat­tut­to fuo­ri dal­la sto­ria. Abbia­mo biso­gno di una pro­gram­ma­zio­ne seria del ter­ri­to­rio che sap­pia affron­ta­re le sfi­de che la lot­ta ai cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci impo­ne. Oltre alla gestio­ne “ener­ge­ti­ca” del pae­se dob­bia­mo gesti­re in manie­ra diver­sa il territorio.

Pren­dia­mo ad esem­pio il con­su­mo di suo­lo. Dei 7.093 comu­ni ita­lia­ni, la stra­gran­de mag­gio­ran­za è rap­pre­sen­ta­ta da comu­ni sot­to i 10.000 abi­tan­ti (con una per­cen­tua­le del 19,11% di quel­li tra 1.000 e 2.000 abi­tan­ti). Spet­ta a loro la tute­la e il ruo­lo prin­ci­pa­le per por­re un fre­no al con­su­mo di suo­lo. Pre­se sin­go­lar­men­te, però, sono real­tà deci­sa­men­te poco con­si­de­ra­te da chi dovreb­be fare pro­gram­ma­zio­ne come le pro­vin­cie, le Regio­ni e anche le cit­tà metropolitane.

Sul­le scel­te stra­te­gi­che, la par­te fon­da­men­ta­le spet­ta al Gover­no Nazio­na­le che sem­bra più atten­to a crea­re una dia­tri­ba con­ti­nua con le Regio­ni, piut­to­sto che det­ta­re i palet­ti di una “leg­ge qua­dro nazio­na­le” entro i qua­li si pos­so­no muo­ve­re le Regioni.

Eppu­re nel­la nuo­va nor­ma­li­tà che dob­bia­mo costrui­re per imma­gi­na­re “un futu­ro ami­co” il coor­di­na­men­to e la pro­gram­ma­zio­ne ter­ri­to­ria­le diven­ta mate­ria di “scon­tro o di saccheggio”.

Abbia­mo biso­gno anche di osa­re di più, di pun­ta­re in alto usan­do cri­te­ri nuo­vi per pro­gram­ma­re il ter­ri­to­rio. Pen­sia­mo alla Rete Eco­lo­gi­ca e imma­gi­nia­mo di ripar­ti­re da una sua con­ser­va­zio­ne e imple­men­ta­zio­ne per sal­va­guar­da­re il futu­ro e la bio­di­ver­si­tà. E qui non pos­sia­mo dimen­ti­ca­re — o fare fin­ta che nel varie­ga­to mosai­co isti­tu­zio­na­le non ci sia­no — del­le real­tà come i Par­chi (natu­ra­li, regio­na­li o nazio­na­li) che rap­pre­sen­ta­no un gran­dis­si­mo patri­mo­nio di rispet­to e tute­la del ter­ri­to­rio. Pec­ca­to che gli stru­men­ti di pro­gram­ma­zio­ne dei Par­chi sia­no quel­li più bistrat­ta­ti e mag­gior­men­te igno­ra­ti quan­do si trat­ta di pro­gram­ma­re stra­te­gi­ca­men­te un futu­ro ter­ri­to­ria­le “soste­ni­bi­le”.

E la Rete Eco­lo­gi­ca dob­bia­mo imma­gi­nar­la come uno stru­men­to che uni­sce ter­ri­to­ri, supe­ra con­fi­ni e lan­cia pon­ti per la bio­di­ver­si­tà e anche per gli esse­ri uma­ni. E su que­sto l’Unione Euro­pea deve gio­ca­re un ruo­lo anco­ra più atti­vo e proat­ti­vo rispet­to a quan­to fat­to fino ad oggi.

Un discor­so a par­te poi lo meri­ta l’agricoltura, che deve final­men­te lavo­ra­re e col­la­bo­ra­re con i Par­chi, all’interno di un per­cor­so di valo­riz­za­zio­ne ambien­ta­le che sap­pia coniu­ga­re un’agricoltura di qua­li­tà con la tute­la e la con­ser­va­zio­ne degli ambien­ti natu­ra­li di cui i cam­pi agri­co­li sono una par­te fondamentale.

E’ fon­da­men­ta­le fare un sal­to cul­tu­ra­le per capi­re l’epoca che stia­mo viven­do. E’ fon­da­men­ta­le ren­der­si con­to che i dan­ni e le con­se­guen­ze del­le nostre scel­te non si vedran­no tra 100 o 150 anni ma si vedran­no tra 30/40 anni mas­si­mo e quin­di sare­mo noi stes­si o le gene­ra­zio­ni imme­dia­ta­men­te suc­ces­si­ve alla nostra a subi­re que­ste conseguenze.

Sul sal­to cul­tu­ra­le mi arri­va un secon­do pun­go in pie­no viso che mi stor­di­sce peg­gio del pri­mo. Per­ché non abbia­mo anco­ra capi­to che la sfi­da è cul­tu­ra­le. Stia­mo anco­ra assi­sten­do alle elu­cu­bra­zio­ni di chi cre­de che il Covid19 non sia “usci­to” dal sac­cheg­gio com­piu­to dall’uomo nei con­fron­ti del­la natu­ra e que­sti “novel­li nega­zio­ni­sti” viag­gia­no di pari pas­so con chi nega l’esistenza stes­sa dei cam­bia­men­ti climatici.

Nuvo­le minac­cio­se spun­ta­no dal­le vet­te di fron­te e devo incam­mi­nar­mi per tor­na­re ver­so casa. Non pri­ma di aver rilet­to la tar­ghet­ta in legno. Un flash improv­vi­so mi coglie alla sprov­vi­sta. Un’immagine deci­sa­men­te stra­na ma allo stes­so tem­po emble­ma­ti­ca che spie­ga mol­to bene come in que­sti anni non sia cam­bia­to asso­lu­ta­men­te nulla.

Lo sfon­do è quel­lo di un noto salot­to tele­vi­si­vo, poi ci sono una car­ti­na d’Italia e tan­te linee trac­cia­te con un pen­na­rel­lo. Il pre­sen­ta­to­re è sem­pre lo stes­so, i trac­cia­to­ri di linee sono cam­bia­ti, ma le linee sono sem­pre le stes­se dagli anni ’90.

Nel frat­tem­po, oggi Tori­no sem­bra Vene­zia, i mari si innal­za­no, i ghiac­ciai si sciol­go­no e nel­la Death Val­ley si rag­giun­go­no i 54,4° e nean­che noi ci sen­tia­mo tan­to bene.

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