Sotto l’aspetto giuridico, la “riscrittura” dei cd. decreti sicurezza che esce dal Consiglio dei Ministri del 5 ottobre 2020 è una delusione.
L’impianto rimane lo stesso, e questo è il dato di partenza.
Viene allargata la cd. protezione speciale, che rimane tale, e questo è bene, ma non viene ripristinata la protezione umanitaria eliminata dai decreti, e questo è male, perché purtroppo non è esattamente vero che viene ripristinata “di fatto”.
Viene prevista la convertibilità in permesso di soggiorno per motivi di lavoro della protezione speciale e di altre forme di protezione, e questo è bene, per quanto sembri così ovvio.
Viene introdotto un nuovo principio di non respingimento, espulsione o estradizione verso stati che violano sistematicamente i diritti umani, e di divieto di rimpatrio in caso di violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che non sussistano motivi di sicurezza o ordine pubblico, e questo è ottimo, anche se si fa sommessamente presente che si tratta della pura e semplice applicazione dei nostri principi costituzionali.
Viene ripristinato il sistema SPRAR/SIPROIMI, che si chiama ora di “Accoglienza e integrazione”, e questo è bene.
Viene ridotto da 180 a 90 giorni (più 30 di eventuale proroga) il tempo massimo di trattenimento nei CPR e questo è benino, perché sono tempi ancora molto lunghi.
Gli aspetti anche parzialmente positivi, però, finiscono qui.
Viene formalizzata l’incostituzionalità del divieto di registrazione anagrafica dei richiedenti asilo, e questo non rileva, perché la norma, incostituzionale, era già disapplicata.
Viene ridotto da 48 a 36 mesi il tempo di attesa massima per avere risposta sula richiesta di cittadinanza italiana, che però prima dei decreti era di 24 mesi, quindi un peggioramento fatto passare per miglioramento, non si sa con quale motivazione.
Infine le note più gravi e dolenti riguardano le ONG, perché, fingendo di accogliere le osservazioni del Presidente Mattarella, viene confermato un trattamento sanzionatorio, pur con sanzioni ridotte ma in certi casi di rilevanza penale e non solo amministrativa, compreso a certe condizioni il sequestro della nave, per un’attività, il salvataggio di naufraghi in mare e il loro sbarco nel porto sicuro più vicino, non solo consentita ma necessaria, obbligata e sanzionata, in caso di inosservanza, dai trattati internazionali e dal codice della navigazione.
In sostanza, la criminalizzazione, seppur in modo ridotto, di un’attività non solo lecita ma obbligatoriamente prevista dalle norme vigenti, persiste.
Poi a margine viene introdotto l’ennesimo DASPO, questa volta per chi ha ricevuto denunce o condanne non definitive legate allo spaccio di stupefacenti commesso presso scuole o locali pubblici, per l’accesso agli stessi luoghi, e per chi sia stato denunciato per reati (asseritamente) commessi in pubblici esercizi, con riferimento alla frequentazione degli stessi.
La norma, che riferendosi alla semplice denunzia appare di dubbia costituzionalità, perché chiaramente suscettibile di applicazione strumentale, viene denominata “Willy”, in quanto, secondo il governo, nascerebbe dall’esame di quel tragico fatto di cronaca e costituirebbe una sorta di tutela preventiva per persone nelle stesse condizioni della vittima.
Questa scelta mediatica appare eticamente molto discutibile, perché gioca sull’emotività nata da un brutale omicidio per attribuirne una soluzione al governo, ma anche improvvida, vista l’evidente inapplicabilità della norma.
Mentre, infatti, il DASPO nei confronti del tifoso ne impedisce l’ingresso allo stadio perché lo stesso deve avere un biglietto e può essere identificato dalle forze dell’ordine, sempre presenti, ma soprattutto ha l’obbligo di presentarsi in caserma all’orario previsto per la partita, non si capisce come possa essere applicato un DASPO in un bar o in una birreria, e in quale modo possa essere impedito l’ingresso di chi lo subisce.
Infine, le parti repressive dei decreti sicurezza, quelle che hanno ripristinato il reato di blocco stradale, criminalizzando il dissenso e le manifestazioni, e che per esempio hanno portato all’incriminazione di centinaia di operai per lo sciopero legato alla vicenda Italpizza, non sono state affatto toccate e vengo implicitamente ratificate dalla nuova maggioranza.
Sempre dal punto di vista mediatico, non si può non notare come la parte “rossa” della maggioranza di governo abbia esultato per una “cancellazione” dei decreti sicurezza, che non c’è, poi derubricata a “superamento”, che però è termine giuridicamente neutro e non di merito, applicabile quando una norma ne sostituisce un’altra.
Dall’altra parte il silenzio quasi totale della parte “gialla” della maggioranza la dice lunga sullo spirito con cui ha partecipato alla stesura.
Quindi, da un lato ci sono sicuramente aspetti positivi che incideranno nella vita reale di tante persone, e questo è un bene, e non si può certo negare.
Però stona il sentimento generale di esultanza nei confronti di un approccio ai limiti della decenza.
Perché per cambiare il mondo ci vuole più coraggio di così.
Perché non si strumentalizza l’omicidio volontario di un ragazzo di colore per giustificare un DASPO (per giunta inapplicabile) sulla base di una semplice denuncia.
Perché le persone dovrebbero essere libere di muoversi e spostarsi anche se non sono in imminente pericolo di vita.
Perché non basta dire che non espelliamo chi rischia la tortura e poi si rinnovano gli accordi con la Libia.
Perché se è vero che il meglio è nemico del bene, in questo caso il bene è nemico del giusto, e ogni tanto bisognerebbe tenerne conto nei giudizi, uscendo dalla contabilità dei piccoli miglioramenti.
È come combattere i cambiamenti climatici con le domeniche senza traffico, come tagliare i parlamentari senza riforma costituzionale.
Come fare politica senza farla, perché Bossi e Fini hanno fatto scelte politiche, Minniti ha fatto scelte politiche, Salvini pure.
Qui di scelte politiche non se ne vedono, solo compromessi al ribasso per tirare avanti.
E infatti l’impianto complessivo rimane quello degli illustri predecessori.