di Sabrine Aouni
Essere di seconda generazione, non smetterò mai di dirlo, per me è come un dono: riesco ad immergermi in due società molto simili ma completamente opposte. Sono tunisina e quindi sono fortemente legata alle mie origini, alle mie tradizioni e anche all’attualità del mio paese; d’altro canto vivo in Italia da diciannove anni e nove mesi. Non mi sono mai spostata, non ho mai vissuto più di un mese all’anno in un altro paese. Ogni mese, di ogni anno, mi trovate sempre a Barletta: a casa, a scuola, in biblioteca, al circolo Arci, a fare volontariato da qualche parte o assistere a qualche evento che stuzzica il mio interesse.
Eppure, nonostante questo, fino ai diciotto anni per lo stato italiano ero tunisina e avevo la possibilità di vivere in Italia grazie ad una carta di soggiorno, fino ai sedici anni ne avevo due: una riservata a mia madre, l’altra per mio padre. Poi finalmente, ho raggiunto i diciotto anni. Per i ragazzi italiani compiere diciotto anni significa soprattutto una cosa: “posso fare tutto quello che voglio” (che poi, è tutt’altro che vero); per me compiere diciotto anni voleva dire poter finalmente chiedere di usufruire del diritto di cittadinanza italiana. Sì, questo passo così importante della vita di una persona per me voleva dire solo questo. E così ‚dal 24 settembre del 2015, inizia la mia avventura per l’acquisto della cittadinanza. Da settembre a gennaio i miei impegni vertevano tutti sul dover cumulare tutte le carte utili alla richiesta di cittadinanza: il mio excursus scolastico, il libretto che raccoglieva la lista di tutti i vaccini fatti in Italia , dunque tutto ciò che dimostrasse che sono sempre stata qui sul territorio italiano, non sono rimasta più di “x” giorni fuori Italia e che dicesse “sì Sabrine è una brava ragazza, si merita la cittadinanza italiana”. A gennaio finalmente avevo completato tutto l’occorrente e mandai la richiesta.
Dopo infiniti andirivieni al comune di Barletta a maggio divento cittadina italiana: felice ma anche sfinita, eccitata ma allo stesso tempo amareggiata. Ero diventata italiana perché avevo comprato la cittadinanza italiana: sono italiana perché ho pagato circa 216 euro di tasse per esserlo. E allora le domande che frullavano nella mia testa, le domande che mi frullano ancora in testa sono: l’Italia è felice di avere un’altra cittadina? Vuole che chi nasce nel territorio italiano sia fedele alla Costituzione e alle leggi italiane? Che riesca a dare qualcosa in più al proprio paese? Evidentemente no. Parliamo spesso di razzismo, vado di città in città a parlare delle esperienze che ho vissuto, della gente che mi ha insultata, stigmatizzata date le mie origini ma sono giunta alla conclusione per cui ho capito che è stata una delle mie terre, attraverso le sue istituzioni, la prima a discriminarmi, ad essere quasi costretta a darmi la possibilità di nascere e vivere qui.
Oggi sono cittadina italiana, felice di contribuire alla crescita di questo paese, nonostante non mi abbia voluta con sé ma lo perdono per questo. Voglio cambiare l’Italia, credo ancora in questa nazione e so che lei stessa è pronta a cambiare a diventare uno stato più inclusivo, più aperto in cui la diversità crea cultura e progresso.
Per questa ragione voglio che lo ius soli temperato e lo ius culturae non siano l’unica alternativa possibile alle vecchie proposte di legge. Voglio che le prossime generazioni possano essere italiane anche se i genitori non possiedono permessi di soggiorno di lungo periodo, possano essere italiane anche senza dover mostrare la dichiarazione esplicita del genitore, senza dover attendere i diciott’anni di età e pagare una somma di denaro per ottenere un diritto di cui nessun uomo deve essere privato (art. 15 comma 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo), possano essere italiane senza dover necessariamente avere genitori con un reddito minimo salariale o un alloggio che rientri in determinati canoni, possano essere italiane anche se, per qualche motivo, siano state bocciate alle scuole primarie, secondarie o superiori.
Per questa ragione a queste due proposte di legge io ne preferirei un’altra: ius omnibus; in cui tutti, se nati in Italia, possono usufruire della cittadinanza italiana, senza doverla comprare a 216 euro e senza dover mostrare qualcosa in più rispetto ad un bambino italiano.
Sarà mai possibile?