Questa volta le elezioni non arrivano all’improvviso, come è capitato nell’estate del 2022. Sappiamo che si voterà all’inizio di giugno e uno sarebbe portato a pensare che di tempo ne abbiamo parecchio, che abbiamo altri problemi e che ce ne occuperemo a tempo debito.
Non è così, anzi, è proprio se faremo così che ci consegneremo al disastro. Perché si tratta di un voto politico, forse addirittura culturale, di grande portata per il nostro futuro. E sappiamo che aria tira, non solo al momento del voto, no, molto prima, nelle conversazioni da bar, negli scambi sui social, nell’immaginario collettivo.
Sappiamo anche che non si può parlare di astensionismo il giorno dopo le elezioni e che il problema della disaffezione e, insieme, della deresponsabilizzazione verso il voto non va contrastato retoricamente e a posteriori, ma scongiurato con un’azione in positivo, che abbia il tempo di strutturarsi e di organizzarsi.
Peraltro non si vota con l’indecente Rosatellum, ma con liste proporzionali e candidature che si possono (addirittura!) scegliere, teniamone conto.
In attesa che si definiscano le liste e le candidature – unico argomento di cui si rischia di parlare per mesi – la mia modesta proposta è che ci si metta all’opera fin d’ora: con la mobilitazione delle organizzazioni e anche quella dei singoli, con la lettura e diffusione di contenuti che possano occupare le nostre conversazioni, con l’informazione e la controinformazione, con l’organizzazione di incontri grandi e piccoli, con l’impegno a focalizzare ciò che a ognuno di noi sta più a cuore.
Per evitare di rimanerci male dopo, è il caso di partire prima, molto prima.
I temi non mancano, manca la politica. Pace, disuguaglianze e il benedetto clima sono argomenti talmente grandi che quasi spaventano – e lo spavento favorisce chi non ha nessun interesse a occuparsene. Le parole sono incerte e tremolanti e invece si deve udire una voce chiara. Se vogliamo evitare che la destra, quella estrema, prenda tutto, non dobbiamo solo parlare del pericolo che essa rappresenta, ma del che cosa vorremmo e faremmo noi. Il rischio è che parlando del pericolo e basta, il pericolo e basta vinca. Teniamolo a mente.
È un lavoro, mi rendo conto, duro e lungo, parecchio fuori moda, ma è il caso che qualcuno lo faccia. Se saremo in tanti, sarà più leggero e più appassionante.