Fare ciò che è giusto (del reato di clandestinità)

Il Gover­no, con­trav­ve­nen­do alla dele­ga già rice­vu­ta dal Par­la­men­to, ha deci­so di far slit­ta­re l’a­bro­ga­zio­ne del cosid­det­to “rea­to di clan­de­sti­ni­tà”, con l’otti­mo argo­men­to: «è inu­ti­le e dan­no­so però lo tenia­mo, per oppor­tu­ni­tà poli­ti­ca». Dimen­ti­can­do per un momen­to che di rego­la chi ha respon­sa­bi­li­tà poli­ti­che, tan­to più se di gover­no, dovreb­be occu­par­si di fare ciò che è giu­sto, non ciò che pen­sa sia più faci­le da spie­ga­re. Caro Ren­zi, Caro Alfa­no, vi do una mano rispol­ve­ran­do un mio vec­chio post del 2013, quan­do esplo­se il dibat­ti­to, visto che a dif­fe­ren­za di voi pen­so che gli ita­lia­ni sia­no per­fet­ta­men­te in gra­do di capi­re un ragio­na­men­to logico.

“(…) Occor­re fare un po’ di chia­rez­za. Il rea­to di clan­de­sti­ni­tà, intro­dot­to dai cd “pac­chet­ti sicu­rez­za” nel 2009, puni­sce lo stra­nie­ro che fac­cia ingres­so o si trat­ten­ga sul ter­ri­to­rio in con­di­zio­ne d’irregolarità, e l’unica san­zio­ne pre­vi­sta è di tipo pecu­nia­rio (un’ammenda da 5000 a 10000 euro), e non –come mol­ti cre­do­no- di tipo deten­ti­vo. Pre­ve­de inol­tre la san­zio­ne alter­na­ti­va dell’espulsione, che però nul­la aggiun­ge all’espulsione già pre­vi­sta in via ammi­ni­stra­ti­va. Non poten­do van­ta­re alcu­na effi­ca­cia deter­ren­te ver­so chi fug­ge per dispe­ra­zio­ne con nien­te in tasca, né tan­to­me­no per chi si tro­vi ad esse­re irre­go­la­re per aver per­so il lavo­ro e il per­mes­so, dopo aver costrui­to una vita in Ita­lia, il vero moti­vo per cui fu intro­dot­to era di ten­ta­re di evi­ta­re per un cavil­lo l’applicazione del­la diret­ti­va euro­pea sui rim­pa­tri, che gra­zie a una dura sen­ten­za del­la Cor­te di Giu­sti­zia è sta­ta poi inve­ce rece­pi­ta (col decre­to 89 del 2011).

Sin dall’introduzione il rea­to di clan­de­sti­ni­tà è sta­to aspra­men­te cri­ti­ca­to da giu­ri­sti, ope­ra­to­ri ed asso­cia­zio­ni, sot­to diver­si pun­ti di vista: per­ché puni­sce uno sta­tus per­so­na­le anzi­ché una con­dot­ta mate­ria­le, come i prin­ci­pi del dirit­to impon­go­no per il ricor­so alle san­zio­ni pena­li. Per­ché se n’è affi­da­ta la com­pe­ten­za al giu­di­ce di pace, men­tre su que­stio­ni che inci­do­no così pro­fon­da­men­te sul­la liber­tà per­so­na­le garan­ti­ta dal­la Costi­tu­zio­ne dovreb­be deci­de­re il giu­di­ce ordi­na­rio. E per­ché ha siste­ma­ti­ca­men­te inta­sa­to con miglia­ia di pro­ce­di­men­ti le pro­cu­re e gli uffi­ci giu­di­zia­ri già gra­ve­men­te obe­ra­ti. Pro­ce­di­men­ti mol­to costo­si per lo Sta­to e soprat­tut­to inu­ti­li, poi­ché l’espulsione è comun­que pre­vi­sta per via ammi­ni­stra­ti­va. È bene lo ten­ga­no a men­te, i pala­di­ni del­la “sicu­rez­za”.

Di con­se­guen­za, l’abrogazione del rea­to di clan­de­sti­ni­tà è det­ta­ta dal sem­pli­ce buon sen­so. Il buon sen­so di non cri­mi­na­liz­za­re le per­so­ne per il solo fat­to di ten­ta­re dispe­ra­ta­men­te, met­ten­do a rischio la pro­pria vita, di rag­giun­ge­re (e spes­so nem­me­no per restar­ci) un Pae­se che ha di fat­to reso qua­si impos­si­bi­le l’ingresso rego­la­re, con nor­ma­ti­ve cri­mi­no­ge­ne come la Bos­si-Fini. Il buon sen­so di non pro­dur­re costi allu­ci­nan­ti a cari­co del­lo Sta­to (stra­no che Gril­lo non sia sen­si­bi­le a que­sti spre­chi) con pro­ce­di­men­ti che, quan­do arri­va­no a con­dan­na, puni­sco­no per­so­ne insol­ven­ti, e che nul­la aggiun­go­no alle pro­ce­du­re ammi­ni­stra­ti­ve di espul­sio­ne che riman­go­no intatte.

L’unica cosa che cam­bie­rà, con l’abrogazione del rea­to di clan­de­sti­ni­tà, è che i pub­bli­ci uffi­cia­li ed inca­ri­ca­ti di pub­bli­co ser­vi­zio non saran­no più costret­ti a denun­cia­re una don­na sen­za per­mes­so di sog­gior­no che si rivol­ges­se alla que­stu­ra per aver subi­to vio­len­ze, una madre sen­za per­mes­so che voles­se un cer­ti­fi­ca­to di nasci­ta per suo figlio, un testi­mo­ne sen­za per­mes­so che fos­se inter­ro­ga­to duran­te un processo.

L’unica cosa che cam­bie­rà è che rime­die­rem­mo all’ipocrisia di pian­ge­re i mor­ti ed incri­mi­na­re i soprav­vis­su­ti. Non è cer­to riso­lu­ti­vo degli enor­mi pro­ble­mi che l’immigrazione ci pone di fron­te, per cui ser­vo­no urgen­ti rifor­me, ma è già un pas­so di civil­tà obbli­ga­to. Il resto è inu­ti­le e dan­no­sa dema­go­gia. Per­ché con o sen­za rea­to di clan­de­sti­ni­tà, le per­so­ne con­ti­nue­ran­no ad arri­va­re, le pro­ce­du­re di espul­sio­ne rimar­ran­no intat­te, e nel­la loro inef­fi­cien­za con­ti­nue­ran­no ad affol­la­re i CIE che asso­mi­glia­no sem­pre più a luo­ghi di abban­do­no e tor­tu­ra. Pro­ce­du­re che con­ti­nue­ran­no, insom­ma, a non risol­ve­re il pro­ble­ma di un Pae­se che dopo trent’anni si osti­na a non accet­ta­re di esse­re al cen­tro di pro­ces­si di tra­sfor­ma­zio­ne e migra­zio­ne glo­ba­le le cui vere cau­se, a voler­le vede­re, ci tro­va­no in pri­ma fila come respon­sa­bi­li. Intan­to, spe­ria­mo in que­sto pri­mo impor­tan­te pas­so. Poi in una rifor­ma strut­tu­ra­le ed in un cam­bio di men­ta­li­tà quan­to mai necessario.”

Da IlFattoQuotidiano.it, 11 otto­bre 2013

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