Giornalisti aggrediti, picchiati, perché additati come nemici. Elementi di disturbo da combattere, facendo ricorso all’unico strumento noto: la violenza. Sembra un racconto del secolo scorso, quando negli Anni Venti iniziavano le brutalità delle camicie nere. Dei fascisti che inneggiavano al Duce e non tolleravano una posizione politica di dissenso né tantomeno il racconto della stampa libera. E invece no: è la cronaca di quanto accade nel 2019, a Roma, in quartiere nemmeno troppo lontano dal centro, in un giorno simbolico usato come ritrovo di nuovi e vecchi militanti dell’estrema destra. La commemorazione di Acca Larentia, nel quartiere Appio-Tuscolano di Roma, è infatti diventato ancora una volta di più un momento di “raduno nero” sotto il cappello del ricordo di due giovani militanti del Fronte della Gioventù uccisi proprio in via Acca Larentia il 7 gennaio 1978 (la celebrazione richiama anche una terza vittima, morta però durante alcuni disordini con la polizia nello stesso giorno).
I fatti sono impressionanti e tracciano un parallelo storico inquietante: un cronista, Federico Marconi, e un fotografo, Paolo Marchetti, entrambi del settimanale L’Espresso, sono stati aggrediti da componenti di organizzazioni che si rifanno dichiaratamente all’ideologia fascista, in barba alle disposizioni della Costituzione che vieta la riorganizzazione di partiti o associazioni fasciste. Tutto questo in pubblico, in una zona franca della legalità. Un angolo di Capitale in cui è stato inferto l’ennesimo colpo alla democrazia, con la scena occupata da personaggi da sempre legati al mondo del fascismo. Proprio come un secolo fa.
L’aggressione ha seguito il perfetto canovaccio squadrista: le immagini sembrano uscite dal bianco e nero degli Anni Venti per diventare a colori, trasmesse da luccicanti smartphone; in 100 anni il mondo è cambiato totalmente, i mezzi di comunicazione hanno stravolto le nostre vite, ma la modalità di azione squadrista è fedele a se stessa. Quella resta sempre uguale: si individua il nemico giornalista, lo si marchia di “infamia”, e lo si intimidisce con la violenza. Senza alcuna altra argomentazione.
Il 7 gennaio 2019 è una data da cerchiare in nero, quel nero fascista che sta tingendo l’Italia. L’esondazione di estremismo di destra ha toccato un altro apice, l’ennesima vetta raggiunta dopo una paziente scalata avvenuta grazie alla minimizzazione, fatta anche dalle Istituzioni, di chi al governo ha preferito derubricare la vicenda a singoli episodi di nostalgici. La situazione è ormai al limite: aggressioni e prevaricazioni sono all’ordine del giorno. Ed è l’ora che chi deve tutelare sicurezza e legalità, come il ministro dell’Interno, dia delle risposte. Vere ed efficaci. Perché la violenza nera è una questione, molto seria, di ordine pubblico. Un Paese in cui i giornalisti sono aggrediti lo abbiamo già visto, ce lo dice la Storia. E non è una bella storia.