Eliminiamo il Senato, ma il Senato rimane. I Senatori non saranno più eletti direttamente dai cittadini, però saranno eletti dai cittadini. A voi sembrano delle contraddizioni, ma non è così nel fantastico mondo del Partito Democratico, di Matteo Renzi, del senatore Chiti e dell’onorevole Cuperlo. Nel fantastico mondo c’è tutto: anche l’europeismo e l’antieuropeismo, il populismo e l’antipopulismo, per dire.
Non deve essere affatto facile vivere nel fantastico mondo del Partito Democratico: se il sondaggio del giorno dice che porta più voti dire che i senatori sono elettivi, allora ci pensa Chiti. Se il sondaggio del giorno dice il contrario, allora ci pensa Renzi.
Può capitare, però, che nello stesso giorno arrivino due sondaggi che dicano cose opposte.
E così Vannino Chiti parte all’attacco con un roboante «Basta balle, con la riforma i cittadini sceglieranno i senatori». Un articolo bellissimo, che vi consiglio di leggere, nel quale si sostiene addirittura che «I Consigli regionali si limiteranno a una presa d’atto. Come negli Stati Uniti […] dove formalmente il presidente verrà eletto a dicembre dai “grandi elettori”. Ma sappiamo tutti che i cittadini hanno già scelto Trump (purtroppo)», confondendo i grandi elettori con il Senato americano, che nel 1913 è passato dall’essere eletto dai parlamentari degli stati all’essere eletto dai cittadini, anche per superare episodi di corruzione, come disse Chiti al nostro Politicamp del 2014.
E mentre Chiti tuona, Matteo Renzi sbruffoneggia: «Saranno loro a rappresentare la Sardegna a Roma», riferendosi a Francesco Pigliaru e Massimo Zedda. Nell’interpretazione renziana della riforma non saranno i cittadini a scegliere i senatori, e nemmeno i consiglieri regionali: sarà direttamente Matteo Renzi a individuare i senatori, in un capovolgimento totale dei principi costituzionali (eppure non così lontano dalla riforma, se pensiamo che saranno i gruppi consiliari regionali, rappresentativi dei partiti, a mercanteggiare sulle nomine senatoriali).
A fare da sponda a tutto ciò, con un’aura di rigorosa responsabilità, c’è Gianni Cuperlo, il quale è riuscito nel capolavoro politico di attribuire – grazie alla proverbiale affidabilità del premier (do you remember #enricostaisereno?) – funzioni legislative alla Direzione nazionale del Partito Democratico, confermando l’adagio della fu corrente bersaniana secondo il quale “la ditta” viene prima della Repubblica e della Costituzione.
In questo marasma che contiene il Senato e il contrario del Senato, così da coprire tutte le posizioni (it’s “il partito della nazione”, stupid), rimane il testo della riforma costituzionale, che è chiarissimo nel non essere chiaro, e dice, in primissimo luogo, che «I Consigli regionali […] eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti».
Chi elegge i senatori? I Consigli regionali: c’è scritto. Basta leggere.
Come li elegge? Con «metodo proporzionale», che già vuol dire «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri». Naturalmente in quanto esponenti di partito e non in quanto singoli candidati. Perché se il M5S nel Lazio dovesse prendere il 35% dei voti o dei seggi (questo punto rimane non chiarito dall’art. 57 ultimo comma, come diremo tra poco), ma i suoi candidati consiglieri dovessero prendere pochissime preferenze rispetto a quelli del Partito Democratico, rimarrebbe comunque anzitutto una attribuzione in base al partito. Perché di rappresentanza per partiti — e quindi politica — si tratta e per questo dovrebbe esservi l’elezione diretta da parte dei cittadini. L’auspicio che contino le preferenze — che potrebbero contare comunque solo per la quota dei consiglieri regionali e non per quella dei sindaci, che in molte Regioni sono il 50% — è giusto un auspicio, che passa anzitutto attraverso la necessità di leggi regionali che prevedano preferenze. Il che potrebbe non verificarsi.
E se la legge regionale prevede un premio di maggioranza che porta una forza del 35% ad avere (faccio un esempio) il 45% dei seggi, come si decide? Non si sa, perché il testo della riforma dice che «I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio». Quindi: in ragione dei voti espressi o della composizione del Consiglio? Di entrambi. Ma che vuol dire, di grazia?
Nel favoloso mondo del Partito Democratico si scrivono norme costituzionali in questa maniera. Chiti e Cuperlo possono spiegarci che è tutto normale, mentre Matteo Renzi si sceglie i senatori ad personam.
Chi vota no sceglie di non cambiare e di tenersi quel che c’è: «I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno». Con tanti saluti al premier Renzi, al senatore Chiti e all’onorevole Cuperlo.