Succede sempre così: se ne parla il 25 novembre, l’8 marzo e quando viene commesso un femminicidio. Quando poi ne seguono nel giro di breve tempo altri, ecco che se ne parla con i toni di un’epidemia, cose se si diventasse assassini per un virus improvviso.
E puntualmente se ne parla male. Si parla di amore, di gelosia, di sospetti tradimenti di lei, di lei che era bellissima e voleva tornare libera, di “lui che non ha retto”, come se pianificare e portare a termine un omicidio fosse qualcosa che scappa dalle mani.
Se ne parla tanto in questi giorni di violenza sulle donne, tanto e tanto male, come sempre. Ma tra qualche giorno non se ne parlerà più, fino al prossimo femminicidio, come succede ogni volta.
Che cos’è veramente il femminicidio
Nel frattempo migliaia di donne subiscono, spesso in silenzio, spesso urlando non ascoltate. I centri antiviolenza si vedono tagliare i fondi o si trovano a doverli spartire con centri per la vita, o con centri di statistica o per qualche pubblicazione o per qualche convegno.
Mentre il contrasto alla violenza contro le donne dovrebbe essere un tema all’ordine del giorno. Ogni.Giorno.
Perché non si tratta di una calamità, né di un’emergenza temporanea, né tanto meno di crimini comuni. Un femminicidio non è solo un omicidio.
Lo scriveva benissimo Michela Murgia qualche giorno fa:
“La parola “femminicidio” non indica il sesso della morta. Indica il motivo per cui è stata uccisa. Una donna uccisa durante una rapina non è un femminicidio. Sono femminicidi le donne uccise perché si rifiutavano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne.
Dire omicidio ci dice solo che qualcuno è morto. Dire femminicidio ci dice anche il perché.”
Diamo delle risposte
La Ministra Boschi, fresca di nomina alle pari opportunità, scrive in un post che, dopo aver pianto, “dobbiamo chiederci cosa fare perché non succeda ancora”. Chiediamocelo certo, ma rispondiamoci pure. Alla Ministra suggeriamo che un grande passo avanti sarebbe lavorare per la piena applicazione della Convenzione di Istanbul. In questi giorni Telefono Rosa ha elaborato una versione della Convenzione per i ragazzi dai 13 ai 19 anni, di cui consigliamo la lettura e la diffusione a chiunque, Ministra compresa. Si può trovare qua.
Noi nel nostro piccolo abbiamo presentato una serie di proposte che le mettiamo a disposizione.
Alcune di esse mirano all’uguaglianza di genere tra uomini e donne: dalla parità salariale, all’osservatorio sui prezzi per prodotti femminili, alla tampon tax.
Poi abbiamo presentato due proposte che si occupano specificatamente di violenza di genere.
La prima è finalizzata all’istituzione di una Commissione Bicamerale di Indirizzo e Controllo che si occupi di affrontare esclusivamente il tema del contrasto alla violenza di genere nel suo complesso, mettendo in rete e coordinando i cav, supportando e formando tutti gli operatori coinvolti, programmando politiche mirate, affrontando il recupero degli uomini maltrattanti, lavorando per una corretta informazione… La proposta nel dettaglio si può trovare qua.
Un seconda proposta invece è finalizzata all’istituzione di un fondo per l’indennizzo delle donne vittima di violenza e per i loro figli. La proposta è stata incardinata qualche giorno fa in commissione giustizia e speriamo di vederne presto la luce.
Come per la Mafia
In particolare, nel caso dei figli di donne vittime di violenza chiediamo che lo Stato riconosca loro lo stesso supporto psicologico ed economico che riconosce ai figli vittime di Mafia.
Mafia, sì.
Chiediamo che lo Stato si faccia carico di un dramma che è conseguenza non di un crimine comune, non di una disgrazia accidentale, ma di un fenomeno sociale e culturale radicato in tutto il Paese e che come tale va affrontato.
Chiediamo che venga fatto quel passaggio forte, ma fondamentale, che è stato compiuto quando lo Stato ha preso coscienza che la Mafia non è un comune criminalità organizzata, ma un fenomeno molto più vasto e complesso, che si nutre nella cultura di un popolo e nella società.
Scrivono Donatella Coccoli e Raffaele Lupoli sull’ultimo numero di Left: “Se fossero 150 morti per Mafia lo stato reagirebbe”.
E’ vero. Ma non è sempre stato così: è stato necessario, negli anni, una presa di coscienza seguita a tantissimo sangue e a un lungo elenco di uomini e donne a cui non saremo mai abbastanza grati, che hanno lottato a costo della vita perché la Mafia venisse riconosciuta per quello che è e facesse sì che lo Stato reagisse di conseguenza.
La violenza sulle donne si nutre di disuguaglianza, di discriminazioni, dello smantellamento dello stato sociale, di omertà, di stereotipi, di solitudine, di indifferenza, di ignoranza, di sonno delle coscienze, di analfabetismo sentimentale.
Servono gli strumenti sociali, economici e culturali per riconoscerla, prevenirla e sconfiggerla, fin da bambini.
Ma prima di tutto serve uno Stato che prenda piena coscienza del fenomeno, invece di restare fermi alla la retorica di “mamme, figlie e mogli”. E lanciafiamme.
Smettiamo di chiederci cosa serve, iniziamo a metterlo in pratica.