Oggi è l’ottava giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata alle patologie da disturbi alimentari. La storia di questa giornata parte da Genova, con l’esperienza di Stefano Tavilla, padre di Giulia e fondatore dell’associazione per la lotta ai disturbi del comportamento alimentare “Mi nutro di vita”.
Nonostante la giornata sia dedicata in tutta Italia a iniziative volte a informare, sensibilizzare e non fare sentire sole le persone coinvolte, e nonostante i tentativi fatti in passato, la data non è ancora stata istituzionalizzata. A chiedere che il 15 marzo diventi una data ufficialmente riconosciuta sono le associazioni nate dall’esperienza dei famigliari ed ex pazienti, di chi si è trovato a combattere da solo una battaglia resa ancora più difficile dalla disinformazione, dall’isolamento e dalla complessità del tema.
In Italia, sono circa tre milioni di persone a soffrire di patologie da disturbi alimentari, insieme alle loro famiglie, considerando soprattutto che l’esordio dei disturbi si colloca nelle fasce d’età adolescenziali e pre adolescenziali. I pazienti e le loro famiglie si trovano spesso soli, di fronte a una complessità che riguarda ogni aspetto: dalla reticenza a chiedere aiuto, alla difficoltà di arrivare a una diagnosi e a ricevere assistenza adeguata.
Secondo un’inchiesta pubblicata da Repubblica nel 2016, la disparità da regione a regione è enorme, con l’Umbria che presenta uno dei quadri più avanzati. Ma non tutti possono permettersi di viaggiare per curarsi, soprattutto per periodi che devono necessariamente essere prolungati, perché la via per la guarigione non è rapida e dipende da molti fattori, tra cui il supporto delle persone care e la situazione famigliare (nel cui ambito spesso si sviluppano le patologie). E così a pagare il prezzo più alto sono spesso le famiglie più vulnerabili economicamente, con pazienti che vedono il diritto alla salute negato e compromesso.
Il dato è ancora più allarmante quando si considera che per le ragazze nella fascia tra i 12 e i 25 anni queste patologie costituiscono la prima causa di morte dopo gli incidenti stradali. Questa incidenza particolarmente alta tra le donne giovani o giovanissime – anche se i dati ci dicono che i numeri di diagnosi per i pazienti maschi sono in crescita — è sintomatica della pressione culturale riguardo al cibo e al rapporto con l’immagine di sé a cui sono sottoposte le ragazze e le giovani donne. Una pressione che si accompagna ed è aggravata dal timore di non essere credute o supportate se dovessero cercare aiuto, e dalla reticenza e vergogna a condividere problemi emotivi e fisici. È un peso enorme sulle spalle di pazienti la cui condizione è già fragile e di fronte al quale famiglie, insegnanti e medici non possono essere lasciati né soli né trovarsi impreparati. Una soluzione efficace sta nel potenziare la consapevolezza e il lavoro di squadra tra le scuole, i medici di famiglia, i pediatri, le famiglie.
Sui siti delle associazioni trovate tutte le iniziative della Giornata di oggi e degli altri 364 giorni, quelli che fanno davvero la differenza.
Fosca Benne
Francesca Druetti