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Per oltre cinquant’anni, da queste parti, si è pensato solo a produrre. Il fiume era una vacca da mungere, una ricchezza da spremere fino al midollo. L’industrializzazione, in queste terre, è arrivata così, con un piglio folle e spietato. S’è presa la valle a forza di zampate di cemento e lamiera, e s’è riversata nel Sacco come quel liquido verde e cocente. La modernità ha violentato questa valle per decenni, dopo averla adescata con un sogno di ricchezza duratura. Poi però l’ha abbandonata al suo destino e ai suoi incubi. Proprio come avrebbe fatto uno stupratore, un bruto non certo guidato da un demone forte, gagliardo, con gli occhi infuocati. A dominare gli uomini, qui, è arrivato un demone flaccido, pretenzioso e miope.
Carlo Ruggiero, Cattive Acque
Schiuma, maledettissima schiuma! Da una settimana la mia Provincia, Frosinone, è balzata agli occhi della cronaca non per la bellezza dei suoi corsi d’acqua e delle sue dolci colline, non per l’incredibile patrimonio artistico, storico e culturale, ma per un’enorme quantità di massa bianca che ha ricoperto il fiume Sacco. Cosa dicono i primi risultati dell’Arpa? Parlano di enormi quantità di tensioattivi, ossia detergenti, vernici o emulsionanti. Tornando alla cronaca di questi giorni, le analisi dei campioni fotografano una situazione da incubo: 16 mg/l di tensioattivi ( il limite tabellato è 2mg/l). Scarichi illegali, questo è certo, coperti da chi o da cosa per anni invece non è lecito saperlo.
Per dare l’idea di quanto sia grave e pericolosa questa situazione basta ripercorrere il corso del fiume: il Sacco nasce tra San Vito e Olevano Romano, siamo praticamente alle porte di Roma, diventa affluente del Liri a Ceprano che a sud di Cassino si unisce al Garigliano e sfocia nel Golfo di Gaeta. Parliamo di più di 100 km che direttamente o indirettamente sono stati colpiti da questo fenomeno, parliamo della vivibilità di tre province e di un’intera filiera agricola, parliamo della vita o in troppi casi della morte di troppe persone. Perché se la schiuma è il fenomeno più evidente e clamoroso di queste ore, questa, ahinoi, è una storia di distruzione che va avanti da anni. In tutta franchezza quello che più mi angoscia è tutto ciò che non si vede che è pari solamente a quello che ha subito quel fiume e le sue genti, le tante denunce non ascoltate e il ricatto occupazionale.
La storia dei suoi fiumi è la cartina al tornasole dello sviluppo di quest’area. Racconta di una trasformazione genetica: il DNA contadino che si tramuta in industriale. Una mutazione avvenuta a tappe forzate e senza alcun riguardo per il territorio. Fabbriche costruite sui corsi d’acqua, cementifici, industrie leader nell’amianto. La natura ha subito in silenzio e con il tempo ci ha mostrato le sue ferite. Così le acque utili e preziose per le colture e per la sopravvivenza diventano “Cattive Acque”, come riassume perfettamente il titolo del Libro citato in apertura, nemici spietati, silenziosi che ci uccidono.
C’è una parola che forse più di tutte riassume il disastro ambientale prima della schiuma: beta-esaclorocicloesano. Sembra una parolaccia ma è molto di più: è un killer. Tecnicamente è uno scarto del lindano, un erbicida. Nel 2013 lo studio epidemiologico della Regione Lazio svolto su 502 soggetti sentenziava:
In conclusione, in questa indagine, sono stati messi in evidenza livelli significativi di β–HCH in una popolazione nota per essere stata esposta a tale inquinante, prevalentemente attraverso alimenti e bevande. I dati emersi dalla sorveglianza sanitaria della popolazione presa in considerazione hanno permesso di mettere in luce alcuni effetti biologici […]. In particolare sono state osservate perturbazioni del pattern lipidico, della funzionalità renale e della steroidogenesi, interessando anche gli ormoni sessuali nel sesso femminile. É stata osservata infine una chiara associazione con alterazioni cognitive.
La possibilità che alla esposizione a β–HCH segua un danno biologico di diversi organi ed apparati è suffragata dai risultati di questo studio, anche se le conclusioni generali sono necessariamente caute nell’indicare l’esistenza di un nesso di causa ed effetto. La metodologia dello studio e i suoi risultati meriteranno sicuramente una valutazione attenta della comunità scientifica nei prossimi mesi e la materia si gioverà di un attento follow-up ambientale e clinico della popolazione già coinvolta e di altre popolazioni del comprensorio che hanno subito una esposizione alla sostanza tossica.
Il ciclo alimentare era compromesso: il latte materno conteneva Il B‑CHC.
Da dove ripartire e cosa fare? Prima di tutto non bisogna dimenticare l’eroica ostinazione delle associazioni locali, di alcuni coraggiosi e competenti Amministratori Locali che hanno iniziato un lavoro importante per creare una rete. Contemporaneamente dobbiamo avere le forza di ribadire giorno dopo giorno che non può esserci alcun tipo di futuro se non avverrà in tempi rapidi una riconversione ecologica del sistema produttivo. Risvegliare le coscienze e vedere i colpevoli in galera grazie a dei controlli seri, costanti e mirati.
E’ il tempo di una riscossa civica ed ecologica in Provincia di Frosinone e in Italia: se vogliamo dimostrare l’amore verso la nostra Terra non inseguiamo rigurgiti del ventennio, ma tuteliamo, prima, e valorizziamo poi gli ecosistemi che rendono unica l’Italia: questa è l’unica grande opera davvero urgente capace di dare lavoro e sviluppo. Proprio alla confluenza tra Liri e Sacco, tra Isoletta e San Giovanni Incarico, per un assurdo gioco del destino, sorge un’area archeologica praticamente abbandonata a se stessa: quello che doveva e poteva essere un unicum capace di unire valorizzazione storica e riserva naturalistica, oggi assiste inerme a questo scempio. Un simbolo di quello che poteva essere e non è, il simbolo di quello a cui dobbiamo aspirare. La stella polare da raggiungere.
Umberto Zimarri[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]