Ecco che è stata pubblicata la XVII indagine Demos sugli italiani e lo Stato. Fra le sue bussole e mappe, il Professor Ilvo Diamanti ha provato già da un po’ a parlare a ‘questi partiti’ (per citarlo nuovamente). E i partiti, o almeno i cittadini, si sono ritrovati, serenamente, con un leader giovane, con un linguaggio che prima parlava di rottamazione ed ora indica il futuro. Per il 2015 sceglie il ritmo. Peccato che gli italiani non ci siano più, almeno per i partiti. Partiti che scelgono la rappresentazione (per citare Christian Raimo) invece della rappresentanza. I grandi partiti di una volta, di massa, sono scomparsi già da un po’. I nuovi partiti, che perdono tesserati, paiono dire, ‘non importa’, come fossero sordi al grido silenzioso degli astenuti, che diventa sempre più spesso il primo partito d’Italia, come alle elezioni regionali in Emilia Romagna, e come nel caso di Roma, dove in questi giorni sotto la guida del Commissario della Federazione PD di Roma, Matteo Orfini, si trovano tessere false. Non importa chi si rappresenta, l’importante è la propria auto-conservazione.
Non sorprende allora un decrescente flusso elettorale, una sfiducia totale nei partiti politici, la perdita di entusiasmo per il M5S dopo che nel 2013 era riuscito ad aggregare chi si era astenuto o chi si sentiva abbandonato dal centro-sinistra, ma anche dal centro-destra. La sola opposizione e l’incapacità di influenzare il processo politico porta all’abbandono di una fetta dell’elettorato. Intanto il Presidente del Consiglio, forte del successo europeo, dice che l’Italia di oggi è diversa dall’Italia di 15 anni fa, e parla di ritmo e futuro.
Alla Leopolda 2014, ‘Il future è solo l’inizio’; alla Piaggio a novembre, ‘Qui dentro avete avuto sempre voglia di immaginare il futuro: …dobbiamo smettere di pensare che il tempo che ci riguarda è il passato. È il futuro, il paese è pieno di esperienze di assoluta eccellenza che è in grado di togliersi di dosso la paura, la muffa’; una settimana dopo, a margine dell’incontro dei G20 a Brisbane, in Australia, ‘Bisogna investire sul futuro’; a dicembre, dopo l’accordo con Cevital dice ‘Piombino è un pezzo di futuro dell’Italia’; quattro giorni dopo, al convegno ‘La buona scuola’, cita Dietrich Bonhoeffer, ‘Ottimismo è non lasciare il futuro ai nostri avversari ma rivendicare a sé il futuro con coraggio’; ed ancora, bisogna ripartire dalla scuola, per ‘dimostrare che “futuro” è la parola più italiana che ci sia’.
Nel futuro, però, non ci sono, perché sono nel presente, gli elettori. Censis e Coldiretti dicono che sono 11 milioni gli italiani che non possono permettersi ‘un pasto proteico adeguato almeno ogni due giorni’, l’Istat parla del 5% di italiani che non ha soldi per mangiare e il 15% che vive nella povertà e non arriva a fine mese, con circa 10 milioni di persone che vivono in forte stato di sofferenza nel Paese. Gli italiani guardano alla politica e ai partiti, ma i partiti non ascoltano. Come scrisse Diamanti solo due anni fa, quello che preoccupa è la sordità di questa oligarchia. E allora poi i cittadini non si fidano neanche più della politica e delle istituzioni a livello locale, secondo Demos, che di solito sono le istituzioni che raccolgono maggior consenso. Solo Papa Francesco attrae l’interesse e la fiducia di un popolo senza leader e senza fiducia. Ma anche il Papa non riesce a guidare quella stessa fiducia verso la propria istituzione, la Chiesa. Non funziona il linguaggio per slogan (per citare Maurizio Landini), non funziona un Jobs Act di cui gli italiani non sanno molto e che sembra rendere il mercato più precario, non flessibile.
La lotta alla corruzione, più trasparenza, la riduzione del numero dei parlamentari, senza diminuire le elezioni (la domanda di rappresentanza non passa attraverso la sua diminuzione; citando Nadia Urbinati, saremo chiamati a votare solo alle politiche e alle comunali, oltre alle europee), il taglio dei vitalizi e dei privilegi della politica sono le basi per ricostruire la fiducia. In un Paese dove la regola è il clientelismo, anche nella sua accezione nepotistica, non serve parlare di meritocrazia, ma basta la trasparenza, oltre ad un ritorno dei partiti verso la base come un possibile passo avanti. Non per averne tessere, ma per raccogliere idee, entusiasmo ed azione.