Si è da poco concluso il summit dei G20 su Clima ed Energia di Napoli.
Il padrone di casa, l’attuale ministro alla transizione ecologica Cingolani, ha commentato in maniera decisamente positiva la conclusione del summit, affermando che era “impensabile, solo qualche anno fa raggiungere questo risultato!”.
Peccato che sui 60 punti dell’accordo i due più importanti non abbiano trovato l’accordo tra gli Stati, rinviando ogni decisione al G20 dei Capi di Governo del prossimo mese di ottobre a Roma.
Questo significa che la strada verso la COP26 di Glasgow è ancora un salto nel buio.
Ci sono due aspetti però che ci lasciano alquanto perplessi. Il primo, già denunciato in passato, è che manca la volontà di rendere vincolanti gli obiettivi che usciranno dai negoziati di Roma e che saranno poi ratificati ed ufficializzati a Glasgow.
Le stime del rapporto IPCC del 2018 oggi sono già considerate ottimistiche. In più, le recenti tragedie climatiche e ambientali in Germania e Belgio, così come quelle in Cina e anche in Italia confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, che siamo di fronte a una emergenza planetaria che ha bisogno di un organismo mondiale che coordini gli interventi obbligatori e vincolanti dei singoli Stati.
Non possiamo permetterci altri esiti interlocutori e poco soddisfacenti, come a Madrid nel 2019, giusto per citare uno dei tanti flop dell’ultimo decennio.
Il secondo aspetto riguarda il nostro paese e in modo particolare l’attuale responsabile del ministero della Transizione Ecologica e la sua posizione a livello internazionale confrontata con quella a livello italiano.
In primis il suo trionfalismo a seguito del summit di Napoli. Se sui due punti più importanti non si trova un accordo non ci sembra il caso di esultare e gioire come Tardelli alla finale di Spagna 1982.
Soprattutto perché uno dei punti più importanti è appunto l’uscita dal carbone e qui gli accordi sono saltati. I più importanti analisti sottolineano che il blitz per allineare tutti i paesi sull’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi, è saltato anche perché il padrone di casa, Cingolani appunto, che fino all’ultimo ha tentato una mediazione è stato poco convincente soprattutto riguardo a quanto deliberato a riguardo dal Governo Italiano.
La proposta era di impegnare gli Stati a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi al 2030 (Parigi prevede 2, senza un orizzonte temporale preciso) e a chiudere tutte le centrali a carbone al 2025.
La domanda è stata: bello l’obiettivo del 2025, ma perché tu Governo Italiano stai invece deliberando in direzione opposta?Cina, India, Brasile e Arabia Saudita hanno così fatto saltare il banco.
Concretamente ritorna il mantra che abbiamo sentito nel corso degli ultimi anni. Da un lato i paesi del G7, da sempre considerati i maggiori inquinatori da più tempo e dall’altro i paesi emergenti, ma non solo, che non si vogliono sobbarcare il peso di una transizione costosa e rimarcano come la responsabilità principale del cambiamento climatico sia dei paesi di lunga industrializzazione.
Di fatto il G20 non ha deciso nulla.
L’impegno sul global warming resta vago, con questa formulazione: “sicuramente sotto i 2°C, come nell’accordo di Parigi”, così come l’uscita dal carbone per il 2030 rimane fumosa.
Vediamo qualche aspetto nel dettaglio:
1 – Azioni contro il cambiamento climatico
Vengono riaffermati gli impegni dell’Accordo di Parigi come il faro vincolante che dovrà condurre fino a Glasgow, dove si svolgerà, a novembre, la COP 26. Obiettivo comune è mantenere la temperatura ben al di sotto dei 2° e a proseguire gli sforzi per limitarla a 1,5° al di sopra dei livelli preindustriali. I Paesi del G20 concordano nell’aumentare gli aiuti ai paesi in via di sviluppo affinché nessuno resti indietro. […] La transizione è necessaria e indispensabile, però deve essere giusta, e assicurare sostegno e solidarietà alle categorie e ai paesi più fragili. Unanimemente si riconosce il ruolo del cambiamento climatico nella perdita di biodiversità.
2 — Accelerare le transizioni verso l’energia pulita
Faro acceso sulla transizione energetica con un impegno preciso sulla cooperazione nell’impiego e nella diffusione di tecnologie rinnovabili, necessarie alla transizione e strumento essenziale per promuovere e realizzare l’Accordo di Parigi. […] Si riconosce la necessità di continuare a investire per le tecnologie rinnovabili, insieme alla riduzione dell’uso del metano, e di procedere spediti verso la riduzione della povertà energetica. […] Riaffermiamo il nostro impegno a ridurre le emissioni nel settore energetico e ci impegniamo a farlo ulteriormente attraverso la cooperazione sull’impiego e la diffusione di tecnologie pulite. […Anche Russia e China si sono impegnati a eliminare gradualmente la produzione di energia dal carbone senza sosta. (peccato che non si dica entro quando!).
Emerge poi un grossissimo problema relativo alla cosiddetta finanza climatica, che dovrà essere parte integrante e sostanziale per la COP26. Viene ripetuto senza troppa convinzione il riferimento (ampiamente disatteso e notevolmente insufficiente) alla somma di 100 miliardi di dollari all’anno preso nel 2009 per investimenti in numerosi settori. La pandemia ha messo in evidenza l’insufficienza dei fondi previsti. L’auspicio, ma dovrebbe essere un impegno, è che in occasione del G20 dei Capi di Stato e di Governo si decida per l’aumento di questi fondi.
Infine il passaggio ai vari PNRR messi in atto dagli Stati Europei e qui emerge la totale arretratezza del nostro paese a livello di fondi messi a disposizione così come l’ambizione di avere una transizione degna di questo nome e che invece è molto “conservativa” del carbone, come qualche osservatore ha fatto notare.
E qui emerge il ruolo assolutamente inadeguato di Cingolani e del Governo Draghi, rispetto alle scelte fatte e a quanto deliberato e autorizzato in questi mesi: autorizzazioni di opere inutili, potenziamenti di centrali a carbone, trivellazioni, escavazioni in parchi naturali, potenziamento di aeroporti a fronte di pochissimi progetti e finanziamenti a sostegno del fattore “Natura e Biodiversità”.
L’ottimismo del Ministro di questi giorni (“Quattro mesi fa questi paesi non volevano nemmeno sentir parlare di questi temi, adesso tutti accettano che l’uscita dalle fonti fossili è necessaria anche se restano disaccordi sui tempi”) è abbastanza imbarazzante.
Vede, caro ministro, per noi il punto fondamentale è proprio questo: la qualità delle intese sul clima, ormai, non la fanno tanto i contenuti quanto le tempistiche per raggiungere gli obiettivi.
Ci ricorda molto da vicino un Harvey Dent (Two-Face) dei giorni nostri, che in una Gotham City in piena crisi climatica, sociale e ambientale, da una parte cerca di convincere altri soggetti a prendere impegni decisivi a favore del clima e dall’altra continua a comportarsi come se la crisi climatica fosse una parentesi passeggera.