L’idea di organizzare in mare, con delle navi, degli hotspot che siano lì a fare la funzione di hotspot galleggianti e cioè di luoghi dove si prendono le impronte digitali e si separano i migranti irregolari da quelli che chiedono asilo e ne hanno diritto.
Una nuova formula che permetterà di registrare tutti, di non far andare via nessuno e al tempo stesso di organizzare un sistema di ricollocamento con la disponibilità degli altri paesi ancora più efficace.
Queste sono — pari pari — le parole pronunciate ieri (ma non solo ieri) da Angelino Alfano, che non è solamente il promotore del cosiddetto “lodo Alfano”, ma è soprattutto il ministro degli Interni del governo Renzi.
Non so bene da dove cominciare ad analizzare questo insieme di sciocchezze, perché si fa davvero fatica a raccapezzarsi.
Rispetto alla geniale idea di costruire hotspot galleggianti le osservazioni da fare sono molte, partendo da un dato di fatto: i cosiddetti hotspot — che al momento sono quattro, e si trovano sulla terraferma — non sono altro che centri di accoglienza che già c’erano e che applicano un approccio più rigido nell’identificazione dei profughi, perché ce lo chiede l’Europa per procedere a un più efficace ricollocamento, che al momento non è neppure iniziato. Non esiste una vera e propria disciplina, nel nostro ordinamento, di questi centri, per cui potete intuire quanto sia elevato il rischio che molto venga lasciato alla discrezionalità di chi vi opera. La racconta così Paola Ottaviano, avvocato dell’associazione Borderline Sicilia:
Da quando è stata scritta la cosiddetta road map si è deciso di utilizzare il dispositivo hotspot, ovvero la differenziazione, al momento dell’arrivo, tra migranti economici e aventi diritto d’asilo. Distinzione che viene fatta in maniera assolutamente arbitraria dalle forze di polizia: occorre specificare che il diritto d’asilo, che è un diritto soggettivo, riguarda la persona e ogni posizione personale va vagliata individualmente. La stessa legge vieta, e ci sono state condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo, di effettuare dei respingimenti collettivi, per esempio legati alla nazionalità. E se leggiamo la road map capiamo immediatamente che è questa la direzione verso cui si intende andare: si fa una lista di paesi con cui si intende fare accordi di riammissione, paesi verso cui i migranti verranno respinti.
Tra questi paesi anche Nigeria e Gambia: come legali seguiamo molti migranti nigeriani e quasi l’80 per cento dei ricorsi vengono accolti, viene dunque riconosciuto il diritto d’asilo: nonostante ciò, il Governo inserisce la Nigeria tra quei paesi da cui partono solo migranti economici, e quindi solamente per la nazionalità, indipendentemente dal caso specifico, ai nigeriani non verrebbe più riconosciuto il diritto d‘asilo.
Ed è esattamente questo il punto, individuato benissimo (si fa per dire) da Alfano: erodere il diritto d’asilo.
Rispetto all’idea, poi, di operare la distinzione a bordo delle navi, segnaliamo al ministro che c’è chi l’ha preceduto, come ci ha confermato Giulia Capitani di Oxfam e come racconta Arci:
Parlando con il personale di Polizia del centro, la nostra delegazione è stata informata dell’esistenza di operazioni che hanno l’obbiettivo di identificare presunti scafisti e relativi testimoni di giustizia già a partire dalle navi di salvataggio. Inoltre, nel caso specifico della nave Siem Pilot, impegnata nell’ambito dell’operazione Triton, si procede ad una vera e propria pre-identificazione. Riteniamo inumana la procedura di identificazione dei migranti in momenti così difficili, sulle navi di salvataggio e a poche ore dallo sbarco, quando oltre ad essere stremati dal viaggio e da difficilissime permanenze in Libia non hanno ricevuto ancora nessuna informativa. Ci sembra, poi, che possa essere una pratica molto pericolosa nel caso si voglia procedere ad una divisione sulla base della nazionalità tra migranti economici e richiedenti asilo.
E che il momento sia estremamente critico lo dice la Commissione sui diritti del Senato (febbraio 2016):
Questo passaggio fondamentale e necessario a “una prima differenziazione tra le persone richiedenti asilo/potenziali ricollocabili e quelle in posizione irregolare” — come scritto nella Roadmap del ministero dell’interno — si svolge dunque quando i profughi, soccorsi in mare e appena sbarcati, sono spesso evidentemente ancora sotto shock a causa di un viaggio lungo e rischioso. Non si tratta poi di un colloquio vero e proprio, ma della semplice compilazione di un questionario che risulta formulato in maniera estremamente stringata e poco comprensibile.
Non tutti gli stranieri, infatti, sono in grado di comprendere quanto viene richiesto poiché le zone di provenienza sono diverse e l’accesso alle quattro lingue tradotte dai mediatori non è scontato. Inoltre, la presenza di persone analfabete o poco alfabetizzate è evidentemente molto alta. Come si è potuto verificare dai colloqui svolti con i migranti ospitati nel centro nel corso della visita, solo una parte era in grado di capire e usare quelle lingue, mentre molti di loro conoscevano solo la lingua del loro paese di provenienza. In più casi è emerso, dalle parole dei profughi, che non avessero nozione di quanto era accaduto nella fase di pre-identificazione né fossero al corrente della loro situazione in quel momento.
Che in questo scenario, Angelino Alfano voglia sommare criticità a criticità sembra davvero inspiegabile, oltre che irrispettoso della dignità delle persone in fuga dalle proprie case e lesivo di diritti sanciti internazionalmente.
Mi domando sempre come ci guarderanno, da qui a cinquant’anni, quando la prospettiva storica sarà impietosa. Evidentemente non è questo un problema per Angelino Alfano, quello del lodo, e dei diritti negati.