di Silvia Romano, Europa Possibile
Con una nuova direttiva, l’Europa ci spinge in avanti verso la parità salariale di genere. O almeno ci prova, dato che Fratelli d’Italia ha votato contro l’adozione della direttiva al Parlamento europeo e che rischia di essere proprio il governo Meloni a recepire le nuove regole a livello nazionale.
La nuova direttiva europea punta sull’obbligo di trasparenza delle remunerazioni, per lottare contro le disparità salariali di genere, includendo nel campo di applicazione la discriminazione intersezionale e i diritti delle persone non binarie. Oltre a contrastare il “gender pay gap”, le nuove regole hanno il potenziale di disinnescare una serie dinamiche perverse, e purtroppo ricorrenti, del mondo del lavoro.
Ad esempio, niente più brutte sorprese durante i colloqui di lavoro sentendosi proporre salari da miseria e condizioni inaccettabili : la direttiva impone l’obbligo al datore di lavoro, di indicare il livello retributivo iniziale o la fascia retributiva per la posizione o mansione in questione. L’informazione può essere fornita nell’avviso di posto vacante o in altro modo prima del colloquio di lavoro senza che il candidato debba richiederlo.
E ancora, sarà vietato ai datori di lavoro chiedere ai candidati, informazioni sulla retribuzione percepita nel precedente rapporto di lavoro. L’obiettivo è garantire che il candidato disponga delle informazioni necessarie per negoziare in modo equilibrato ed equo la propria retribuzione all’inizio di un rapporto di lavoro, evitando tra l’altro di trascinare gli effetti di eventuali discriminazioni o pregiudizi retributivi, nel passaggio da un lavoro ad un altro.
I datori di lavoro avranno l’obbligo di rendere accessibile ai lavoratori una descrizione dei criteri utilizzati per definire la loro retribuzione e il loro avanzamento di carriera. I lavoratori il diritto di chiedere al datore di lavoro informazioni sul livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso e categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Cio’ permetterà ai lavoratori di valutare se sono retribuiti in modo non discriminatorio rispetto ad altri lavoratori della stessa organizzazione che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, e per far valere il loro diritto alla parità retributiva, se necessario.
Un altra novità importante riguarda il divieto di inserire clausole di riservatezza nei contratti di lavoro. In altri termni, non potranno più esistere clausole contrattuali che impediscano ai lavoratori di rivelare la propria retribuzione o a chiedere informazioni sulla stessa o su altre categorie di retribuzione dei lavoratori.
I datori di lavoro avranno l’obbligo di rendere pubblicamente disponibili e accessibili determinate informazioni quali il divario retributivo tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile nella propria organizzazione. Se il divario retributivo è superiore al 5%, i datori di lavoro dovranno effettuare una valutazione delle retribuzioni insieme ai rappresentanti dei lavoratori e adottare misure correttive. L’onere della prova passa quindi dal lavoratore al datore di lavoro. Nei casi in cui un lavoratore ritenga che il principio della parità retributiva non sia stato applicato, la legislazione nazionale dovrà obbligare il datore di lavoro a dimostrare che non c’è stata discriminazione.
In caso di mancato rispetto del principio di parità retributiva, il legislatore nazionale dovrà stabilire delle sanzioni. I lavoratori vittima di discriminazione, avranno diritto a un risarcimento se le aziende non rispettano gli obblighi di parità retributiva.
Gli obblighi della direttiva riguarderanno le aziende con più di 100 dipendenti, lasciando fuori tutta una serie di piccole e medie realtà. Va notato che la proposta della Commissione riguardava solo aziende con più di 250 dipendendi ed è grazie alle pressioni del Parlamento europeo che è stato possibile estendere il campo di applicazione.
Ci sono 3 anni di tempo per recepire le nuove norme nell’ordinamento nazionale e a livello italiano sarà necessario apportare una serie di adeguamenti ad alcune normative italiane, tra cui la recente legge 162/21. Peccato che il governo che si occuperà del recepimento delle nuove regole in Italia è guidato dal partito che al Parlamento europeo aveva ha votato contro la direttiva !
Nonostante il diritto alla parità retributiva, sia sancito dalla nostra costituzione (art.37) e dai trattati europei (art.157 TFUE) stenta ancora a trovare attuazione. Nell’UE, il divario retributivo tra i sessi persiste intorno al 13%, con variazioni significative tra gli Stati membri.
Nonostante il divario salariale di genere in Italia si attesti al 4,2% (dati Eurostat, marzo 2022), è ben noto che nel settore privato il gap sia ancora al 17%. Infatti mettendo da parte il settore pubblico e prendendo in considerazione i fattori di svantaggio delle donne nel mercato del lavoro, il nostro paese si piazza tra i peggiori paesi europei. E questo divario è diminuito solo marginalmente negli ultimi dieci anni. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i 27 paesi dell’UE, per le disuguaglianze tra uomini e donne nella partecipazione al lavoro.