[vc_row][vc_column][vc_column_text]Quale “straordinaria urgenza” abbia spinto l’Amministrazione Comunale Genovese, tra tutte le problematiche ed emergenze che si trova ad affrontare la città e il suo territorio – gestione dei rifiuti, trasporto pubblico, qualità dell’aria, qualità della vita, manutenzione urbana, lavoro, commercio, ecc.- per approvare nel consiglio comunale del 23 agosto 2018, a neanche 10 giorni dal devastante crollo del Ponte Morandi, l’istituzione del “Registro amministrativo delle famiglie ” (così dette “tradizionali”), impegnandosi nella mission di “assicurare alle formazioni sociali fondate sul matrimonio civile o concordatario adeguata tutela ed incentivazione nel godimento dei benefìci e nella fruizione dei servizi erogati dalla Civica Amministrazione”, non è stato immediatamente comprensibile.
Anzi, sì comprendeva fin troppo bene, ma la vicenda è comunque degna di nota.
Essere nella necessità e nell’urgenza di dover assicurare adeguata tutela a qualcuno o qualcosa, significa che quel qualcuno o qualcosa sono in pericolo, sotto attacco, a repentaglio o, come minimo, oggetto di discriminazioni, tanto da dover essere incentivati nel godimento di benefici e servizi erogati dalla stessa Amministrazione Comunale.
Scoprire che a Genova, la mia città, la “porta d’Europa”, città aperta al mondo, all’innovazione, all’emancipazione culturale, sociale e civile, che si vuole “meravigliosa” e attrattiva per il resto d’Europa e del mondo, le famiglie, ma solo quelle fondate sul matrimonio civile o concordatario, sono discriminate tanto da dover essere tutelate mi ha sconcertato.
Io e la mia famiglia “ricomposta” da due individui divorziati e un figlio ancora convivente, e che probabilmente mai vorranno attestare la loro unione con un nuovo “atto amministrativo”, mi sono quasi sentita in colpa.
Ma passare dallo sconcerto allo sconforto, è bastato un attimo; per il disgusto e l’indignazione un nanosecondo.
Il tempo minimo per realizzare che il non troppo fine artifizio letterario e le acrobazie da legulei che gli estensori della delibera e del regolamento istitutivi del “Registro delle famiglie tradizionali” hanno dovuto architettare scomodando articoli e principi della Costituzione, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, della Carta europea delle autonomie locali ed altro ancora, aveva (ed ha) un solo ed unico scopo: ripristinare una discriminazione, richiamandosi al diritto; mascherare una discriminazione, come dovere istituzionale.
Aver attuato finalmente il riconoscimento delle unioni civili, l’aver introdotto ed esteso strumenti di tutela alle tante forme di famiglia che tutte indistintamente rappresentano quei nuclei fondamentale della società e che hanno diritto tutti indistintamente ad essere protetti dalla società e dallo Stato, indipendentemente dal tipo di atto che li lega, fosse pure non un atto amministrativo, ma anche solo un atto d’amore, non poteva essere tollerato oltre dai paladini della famiglia tradizionale.
E i figli e le figlie generati non sono diversi tra di loro a seconda del tipo di atto amministrativo che attesta l’unione dei propri genitori o anche in assenza di qualsiasi atto.
Per questo vi diffidiamo dal farlo!
Vi diffidiamo dal dare attuazione al tentativo che, con gli ultimi ordini del giorno approvati dal consiglio comunale dello scorso 24 gennaio, riconoscerebbe incentivazioni non solo sconti su taxi e parcheggi, abbonamenti agevolati o gratuiti per l’Amt, deroghe per l’ingresso nelle Ztl, ma anche punteggi aggiuntivi per l’assegnazione delle case popolari e l’accesso agli asili, ma solo ai cittadini iscritti al registro delle famiglie tradizionali!
Vi diffidiamo dal sottrarre risorse pubbliche di tutti per dare a pochi, non per necessità di tutela o bisogni, ma solo per rimarcare una distinzione!
Vi diffidiamo dal proseguire in questo disegno politico nazionale (vedi “Disegno di legge Pillon”) e locale di restaurazione, di imposizione di scelte e modelli di vita che nessuno vi vieta di preferire come convinzioni o scelte personali, ma senza prevalere e discriminare scelte derivanti da convinzioni o scelte personali diverse.
Vi invieremo 10, 100, 1000 diffide in nome di un unico principio universale che è quello di NON DISCRIMINAZIONE richiamato anche nell’art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: è “vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”
Vi diffidiamo in nome di un unico e solo comandamento: non discriminate le famiglie degli altri!
Roberta Burroni[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]