Un giorno Giusy piomba nella mia vita con la forza di un ciclone.
E’ iscritta a Possibile, ci siamo confrontate spesso su varie questioni che attenevano la politica, quando un giorno la vedo arrivare alla Camera, insieme a un gruppo di familiari di ragazzi autistici.
Scopro così che Giusy ha un fratello, Andrea, al quale all’età di tre anni hanno diagnosticato una forma seria di autismo. Ora Andrea ha 27 anni e, a discapito di una legge che vorrebbe che a 18 anni l’autismo cessasse di esistere, Andrea autistico continua ad esserlo.
Si capisce subito che Giusy sarebbe disposta a gettarsi nel fuoco per il fratello, per difendere i diritti che lui non può pretendere, per urlare le ingiustizie e le violenze che lui, pur urlando, non sa spiegare.
Giusy è una leonessa, non molla neanche quando tutto intorno sembrano alzarsi solo enormi muri di gomma.
La storia di Andrea e della sua famiglia è molto delicata, fatta di speranze, disillusioni, negazioni di diritti e tanta, tanta solitudine. Ma una storia fatta anche di amore immenso e di grande coraggio.
Vorremmo accedere un faro bello grosso su Andrea e sulla sua storia, purtroppo simile a quella di tanti malati di autismo.
Alla vigilia della Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’autismo, ho chiesto così a Giusy di raccontarla, attraverso quattro tappe fondamentali.
Per provare ad essere, appunto, tutti un po’ più consapevoli.
Andrea dai 15 a 19 anni
Andrea fino ai 15 anni è rimasto in casa con noi, a Bagnara Calabra. E’ sempre stato un ragazzo molto seguito, i nostri genitori hanno cercato continuamente di offrirgli stimoli attraverso attività di vario tipo, come ippoterapia, nuoto, musicoterapia. Quando l’autismo irrompe nella tua vita, ogni pensiero, ogni istante è dedicato ad esso e, quindi, nel nostro caso, ad Andrea. Ma, ahimè, l’autismo non è una favola e crescendo, crescono i problemi. Andrea con l’adolescenza diventa molto aggressivo e i miei sono così costretti a rivolgersi a un centro riabilitativo in Sicilia, L’Oasi di Troina, dove mio fratello fa enormi progressi dal punto di vista comportamentale e nella sua autonomia di base. Purtroppo però è un centro per soli minori e, compiuti i 19 anni, Andrea deve andare via. Ecco che ha inizio il nostro calvario.
Andrea in Toscana
I miei genitori si mettono alla ricerca di un nuovo centro riabilitativo e vengono a conoscenza di una “ottima struttura” in Toscana. Fanno l’intero iter burocratico, che dura quasi un anno, per il ricovero, dopodiché nell’ottobre del 2009 mio fratello viene accolto. Vi entra privo di farmaci e con un’ottima autonomia personale ed un peso di circa 70kg . Nonostante la lontananza, i miei hanno continuano a stargli vicino, macinando oltre 2000 km al mese. Non è stato semplice o facile riporre speranze e fiducia. Ma loro si fidavano, noi ci fidavamo. Però con il tempo le cose sono cambiate. Mio fratello comincia a fare una terapia farmacologica sempre più pesante e inizia a star male. Nonostante le ripetute segnalazioni da parte dei miei genitori, i responsabili, quasi con sufficienza, hanno sempre affermato che questa era la prassi, che andava fatto così. Riesco a ottenere un incarico scolastico a Pistoia, decido di trasferirmi là con mio marito, le mie 4 figlie e i miei genitori. Le cose non ci convincono e vogliamo stare vicino ad Andrea. Il tempo di comunicare il nostro trasferimento e la struttura improvvisamente decide di dimettere Andrea per “incompatibilità con la struttura” e lo descrivono come un mostro, aggressivo e pericoloso per se’ e per gli altri. Cambiando quasi la diagnosi: da autistico a psicotico. Andrea esce ingrassato smisuratamente ed imbottito di psicofarmaci pesanti. E noi, una famiglia ormai di emigrati, ci ritroviamo soli, con una disintossicazione da fare e senza alcun tipo di assistenza.
Andrea a Forlimpopoli
Dopo le dimissioni Andrea rimane in casa con noi tutti (a Pistoia) per circa un anno, dall’ottobre del 2014, senza alcuna assistenza. Non ci sono strutture disponibili in Italia per adulti. Le poche sono tutte sature. Ma ne troviamo una che si dice disponibile ad attuare il percorso riabilitativo idoneo per mio fratello. Si trova a Forlimpopoli. E così inizia il nostro secondo calvario. La Regione Calabria si oppone al ricovero poiché la struttura in questione non ha ancora l’accreditamento nazionale, ma non ci propone alcuna soluzione alternativa. Mio padre nel frattempo, continua a mandare documentazione e istanze e, dopo le incessanti pressioni, i funzionari della sanità calabrese partoriscono una delibera (poco chiara) ad hoc per Andrea per tre mesi (le cui fatture ad oggi non sono state ancora liquidate): da settembre a dicembre 2015. In questi tre mesi Andrea trova sollievo e stabilità. Finalmente la sua vita torna ad avere un quadro ben definito, dove lui si sente parte di un progetto. E ritorna ad avere una dignità di persona e di individuo. Ma il tempo di pace dura poco: alla scadenza dei tre mesi i dirigenti calabresi non rinnovano la delibera e Andrea rientra in casa con noi. Anzi, con i nostri genitori in Calabria. Io rimango a Pistoia con la mia famiglia perché ormai lavoro qui.
Andrea Oggi
Andrea quindi oggi si trova a casa, con due genitori ormai affranti e debilitati e due sorelle che si sentono impotenti e angosciate, perché non riescono a sbrogliare questo nodo, ormai ossidato. Una famiglia divisa in due regioni e lasciata sola.
Chiedo risposte alla mia Regione Calabria. Chiedo il diritto alla vita, quello che a noi oggi viene negato.
Chiedo che mio fratello possa finalmente esser sereno, ritrovare quella pace e stabilità che aveva assaggiato, dopo tutti i traumi che lui stesso ha subito.
Mi chiedo se in uno Stato democratico, così come si definisce il nostro, persone deboli ed indifese come Andrea debbano subire queste ingiustizie ed esser ostaggio di burocrati lestofanti e di governanti che pilatescamente si lavano le mani, ma si riempiono la bocca di populismi.
Chiedo giustizia e diritti. E voglio rompere il silenzio assordante che circonda tutti noi, famiglie sole ed emarginate da tutti.