Un anno. È passato un anno dalla morte di Giulio Regeni, trascorso tra la tortura di un Egitto che ha aggiunto menzogne e fango al dolore e un’Italia (politica) che ha continuato a balbettare. Bugie travestite da ipotesi rovesciate sul tavolo dell’opinione pubblica da al Sisi e i suoi scugnizzi: prima l’incidente stradale, poi l’indagine su Regeni prima negata e poi riconosciuta, la vigliacca messinscena dei quattro rapinatori e del passaporto ritrovato e per ultima la tesi del complotto internazionale.
Un anno in cui il cadavere di Regeni è stato ricoperto di fango. Ancora. Eppure dentro questa storia sanguina anche la timidezza compiacente di chi continua a demandare alla magistratura un ruolo che è soprattutto politico: l’accettazione silente di regimi dittatoriali di bastardi senza gloria che banchettano sui diritti del mondo in cambio di buone commesse commerciali è una responsabilità anche dell’Italia e dell’Europa.
Come riporta Lettera 43 il potere di al Sisi è sostenuto da Putin nel “tentativo di accaparrarsi in Libia, attraverso il generale Khalifa Haftar da loro stipendiato, l’area di influenza della Cirenaica”. È il primo interlocutore di quell’Arabia Saudita (di cui anche l’Italia si fregia di essere amica) “che aveva staccato il rubinetto al governo Morsi della Fratellanza musulmana e lo ha foraggiato per il golpe e dopo”. E l’Italia per scambi commerciali “è seguita da Francia e Germania, non a caso al Sisi antepose Roma a Parigi come prima tappa del suo primo viaggio in Europa nel 2014 e tra i due Paesi è un via vai di delegazioni istituzionali e commerciali: alla scoperta del corpo di Regeni, l’allora ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi era al Cairo in missione e dovette interromperla”. Tra Italia e Egitto nel 2015 sono passati 5 miliardi di euro (soprattuto nel settore della meccanica) con l’annuncio trionfante di Palazzo Chigi, ai tempi, di superare i 6 miliardi di euro nell’anno successivo.
E non c’è solo Giulio Regeni: nel World Report del 2017, Human Rights Watch, Amnesty International denuncia un «consolidamento della repressione sotto al Sisi», nell’anno passato, per «indebolire la società civile» e «criminalizzare il lavoro dei difensori dei diritti umani». Secondo Amnesty: «nel 2016 le forze di sicurezza egiziane hanno torturato di routine i detenuti e fatto scomparire centinaia di persone». Ecco il gorgo in cui è finito Giulio.
C’è un mondo che tutti dicono di voler cambiare e intanto sotto banco continuano a finanziare lautamente. Oggi il ministro Alfano chiede “un minuto di silenzio per Giulio” e invece forse sarebbe il caso di alzare la voce e di finirla con questo detestabile silenzio. Oggi ancora di più.