[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1510047809811{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Lo sfruttamento e l’abuso di potere non ammettono distinguo né «sì, però». Contrapporre il caso Weinstein ad altre situazioni significa non capire di che cosa si tratta: l’abuso fisico e psicologico di una star dello spettacolo verso una giovane donna è della stessa natura della molestia o della prevaricazione del datore di lavoro o del capo e più in generale della violenza inflitta al più debole e esposto da parte del più forte e prepotente. Sotto il segno del ricatto e della prevaricazione, c’è una somiglianza a cui ribellarsi, con l’indignazione di chi ne riconosce l’ingiustizia e la violenza.
Mi dice che il teatro deve essere realistico, passionale. Che per essere più credibile deve baciarmi, ma con la lingua. So di sembrare ingenua, ma in quel momento non realizzo che il teatro non c’entra nulla. In quel momento penso che il regista è lui, quindi deve essere così, deve essere realistico, passionale. Capisco solo dopo.
Mi dice di spogliarmi. Di stendermi vicino a lui. La parte lo prevede. Deve essere un provino, devo dimostrare di essere in grado. Forse funziona così, io non lo so. Sono al mio primo provino importante e sono sola, lo assecondo.
“Non voglio mica fare sesso. Voglio capire se sei in grado di sentirti a tuo agio davanti alla telecamera e in situazioni di maggiore intimità”.
Mi fido, il regista è lui. Siamo soli. Sto male, ma deve essere così che funziona.
Queste solo alcune, le più edulcorate, storie che mi hanno raccontato in questi giorni, da quando ho cominciato ad approfondire i casi di Weinstein italiani. Quasi sempre si parla di giovani donne, alcune sono alle prime esperienze, altre hanno fatto solo la scuola e devono ancora muovere i primi passi, in quel mondo bello e nobile che è, che deve essere, il cinema o il teatro.
Di fronte si trovano il regista, il produttore, lo sceneggiatore famoso, che ti ha notata, che ti spiega come funziona. E per quanto ostenti sicurezza, tu non lo sai come funziona, perché sei giovane, senza esperienza e sei sola, davanti a lui, spesso in una posizione di evidente sudditanza psicologica.
Ci sono quelli seri, perbene, maestri veri. Poi ci sono gli orchi, che sporcano un’arte nobile e rovinano vite, sogni e carriere. E lo fanno abusando della loro posizione di potere. E il punto è proprio questo. E invece di concentrarci sulle vittime, sul dettaglio pruriginoso o correre a difendere quel regista tanto per bene, è necessario rimanere focalizzati sul fatto che le posizioni non sono paritarie. Il punto non è se una riesce a dire sì o no, se ci sta o no, se conosce le regole del gioco o no, se ha coraggio o no.
Il punto è che nessuno, in nessuno campo, deve permettersi di poter abusare della propria posizione di potere. E ogni volta che succede, è violenza.
Vale in ogni campo, vale per il titolare d’azienda in un colloquio di lavoro, vale per il professore in una classe o una commissione d’esame, vale per il carabiniere in una caserma, vale per il medico in un ambulatorio, vale per lo psicologo in uno studio, vale per il ministro, per il dirigente, per il commissario.
Chi si trova in una posizione di potere ha il dovere e la responsabilità di gestirlo entro limiti ben precisi, ogni volta che tale limite è superato la condanna e le conseguenze non devono ammettere “ma”, “però” o distinguo di alcun genere.
Che si tratti di braccianti agricole, di studentesse, di giovani praticanti, di impiegate o di attrici non fa alcuna differenza. È sempre abuso di una posizione di potere. È sempre abuso. E non importa se poi quell’attrice ha lavorato, quella studentessa ha superato l’esame o se l’impiegata ha ricevuto una promozione. Tutto quello che nasce da un abuso, non trova mai dall’altra parte un consenso. E ogni conseguenza che ne deriva è conseguenza di una violenza. Chi la subisce ne è sempre una vittima.
Confondere i piani, i ruoli, i ragionamenti, ci rende tutti complici di chi mantiene e diffonde un sistema malato, patriarcale, fondato sulla sudditanza e sul compromesso. Sminuire, denigrare, colpevolizzare la vittima fa il gioco di chi abusa, di una cultura dello stupro che mai, come in questi giorni, emerge in tutta la sua evidenza e diffusione.
Meryl Streep ha chiamato “nostre eroine” le ragazze che hanno cominciato a squarciare il velo di silenzio, anzi di omertà (chiamiamolo con il giusto nome) intorno al sistema di violenze legate al mondo dello spettacolo. Sono eroine, al pari chi di denuncia il ricatto, la richiesta pizzo, lo sfruttamento, la minaccia da parte di chi appartiene a un sistema di potere forte e blindato. E allo stesso modo deve essere garantito sostegno, protezione, incoraggiamento.
A queste eroine, a Asia, a Miriana e a tutte le ragazze che sono sul punto di superare la paura e le ferite che portano con sé, noi esprimiamo la nostra stima e vicinanza. Stanno portando avanti per tutti noi una battaglia dolorosa e difficile, in cui c’è tanto perdere, in cambio di una società in cui chi abusa della propria posizione non si senta più al sicuro, non trovi più riparo dietro silenzi e complicità. Noi siamo al loro fianco.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]