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Gli italiani stanno tornando a inventarsi il futuro. In molti nella Penisola—spaesati e in affanno dagli ultimi 20 anni—non se ne sono ancora accorti. Ma, come dicono gli inglesi: “The Italians are coming back”.
Come ha osservato recentemente Walter Tocci, negli ultimi 20 anni il mondo è radicalmente cambiato. Globalizzazione dei mercati, transizione verso un’economia della conoscenza, migrazioni. E in questo mondo nuovo gli italiani negli ultimi 20 anni non sono riusciti a sentirsi a proprio agio. Sentendosi spaesati. In affanno.
Il fatto è che questo mondo nuovo è in realtà fatto su misura per le caratteristiche degli italiani. In un mondo globalizzato siamo un Paese dalla cultura più cosmopolita di altri. In un economia centrata sulla conoscenza e sull’innovazione siamo un Paese dell’ingegno. Non abbiamo mai avuto materie prime e ci siamo sempre salvati con l’ingegno italiano. In un mondo della civiltà urbana siamo il Paese che ha inventato lo sviluppo urbano. Nei momenti di forte discontinuità nei modi di pensare, nei rapporti geopolitici, di cambiamento storico, nei passaggi d’epoca, noi italiani siamo sempre riusciti a venirne fuori bene.
L’ultimo passaggio d’epoca che gli italiani hanno dovuto affrontare è stato alla fine della seconda guerra mondiale. E gli italiani lo hanno affrontato alla grande. Non realizzando solo un boom “alla cinese”, basato su un basso costo del lavoro. Nel dopoguerra gli italiani hanno realizzato una vera e propria rivoluzione dell’ingegno. Con l’invenzione della plastica di Natta, con il primo computer commerciale a transistor al mondo prodotto dalla Olivetti, come terzo paese al mondo a mettere un satellite in orbita, dopo USA e URSS, con l’operazione San Marco. Con l’Istituto Superiore di Sanità di Marotta, centro di grande innovazione. Con la grande scuola di fisica. Con l’ENI di Mattei. E poi il cinema, la letteratura. L’architettura. Con una riforma della scuola che fece fare un balzo in avanti all’istruzione pubblica di massa.
Dopo i recenti 20 anni di spaesamento e di affanno gli italiani stanno finalmente imparando a venire fuori bene nel mondo della globalizzazione, dell’economia della conoscenza, delle migrazioni.
Ne è un esempio tra i tanti l’esperienza della scuola Radice di Milano, quartiere San Siro. La scuola Giuseppe Lombardo Radice di Milano è una scuola elementare pubblica con pochi mezzi in un quartiere non facile.
I giornali l’hanno ribattezzata “la scuola più multietnica d’Italia” per via di quel suo 85%, sul totale degli iscritti, di ragazzi arrivati da altri paesi.
Un gruppo di studenti di design del Politecnico di Milano, Impresa Possibile l’incubatore d’impresa di taglio sociale di Possibile, e altre realtà associative che ci lavorano da tempo, hanno deciso di considerarla invece un punto di forza del nostro Paese. Un posto dove ragazzi arrivati da altri Paesi suppliscono al vuoto di giovani generazioni che rischiava di minare il sistema economico e pensionistico italiano.
Guidati da Maurizio Figiani, un loro docente, da Marco Marzini, un designer milanese, e da me, Carlo Massironi di Impresa Possibile, le ragazze e i ragazzi della classe 2017 di “Artefatti per nuove economie collaborative” del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano hanno deciso che alla loro generazione di designer spetta il compito di inventare di nuovo il futuro, così come fecero i designer della scuola milanese nel dopoguerra. Solo che il futuro, questa volta, è in un mondo globalizzato, basato sulla conoscenza e multietnico. Un mondo che, se lo progetti, non ha alcuna ragione di farti paura.
I ragazzi del Politecnico hanno così sviluppato nel corso dell’anno una serie di progetti per oggetti e materiali didattici finalizzati a reinventare intorno all’idea di integrazione culturale lo spazio bimbi 3–4 anni gestito dalle associazioni di volontariato SoS Bambini Onlus e UVI Onlus all’interno della scuola Radice.
Lo spazio bimbi 3–4 anni è il luogo dove per la prima volta bambini e bambine, provenienti in alcuni anni anche da 16 paesi differenti del mondo, incontrano per la prima volta l’Italia. E dove probabilmente decidono che italiani vorranno essere.
Al di la dei risultati progettuali concreti (che saranno presentati il 22 giugno nei locali della scuola per cercare imprese interessate a realizzarli, pro bono per la scuola Radice e a scopo commerciale per il resto del mondo), quello delle ragazze e dei ragazzi del Politecnico di Milano è un esempio tra i tanti del fatto che gli italiani stanno tornando a inventarsi il futuro.
Si tratta di ragazze e ragazzi che hanno capito che è arrivato il momento di adeguare la nostra idea di come va il mondo al nuovo mondo. Per andare avanti. Ragazze e ragazzi che hanno sperimentato sulla loro pelle lo spreco di competenze cui sembrava soggetta la loro generazione. Ragazze e ragazzi che sono convinti che spetta a loro stessi creare opportunità di espressione di queste competenze. Ragazze e ragazzi in fine che sentono di far parte di un movimento più generale nel Paese di giovani della conoscenza e che alla politica chiedono solo di mettere al centro dell’agenda “la politica della conoscenza” e rimuovere gli ostacoli alla nascita di un corrispondente movimento di imprenditori della conoscenza e dell’innovazione permanente.
Fatelo sapere a tutti: gli italiani (e le italiane) stanno tornando, “the Italians are coming back”.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]