[vc_row][vc_column][vc_column_text]Se c’è una cosa che ho capito nei miei 15 anni di vita da espatriato in Africa e in Asia è che eventi che pensiamo lontanissimi hanno impatto in posti a noi molto vicini: la scelta dell’acquisizione di una impresa operata in Europa ha impatto sulla vita delle persone di una controllata in Myanmar; la decisione di un contadino del mid-west sui semi da usare nei suoi campi, ha impatto sulla salute di una persona a migliaia di chilometri di distanza; la mancanza di diritti dei lavoratori in Cina ha impatto sul licenziamento di operai nelle Marche. I nostri confini nazionali non ci mettono al riparo di nulla. Mura e filo spinato non servono a niente, ma anche le leggi e la carta su cui sono scritte, se pensate entro contesti solo nazionali servono a poco.
Quando pensiamo alle politiche su cui vogliamo costruire il nostro Paese abbiamo bisogno di pensarle sempre più entro un contesto globale.
Per questo la politica estera e la cooperazione internazionale diventano strumenti imprescindibili, non solo quando ci occupiamo di pace e disarmo, ma anche quando ci occupiamo di ambiente, di lavoro, di istruzione, di salute e certamente quando ci occupiamo di economia, finanza e fiscalità.
Dobbiamo stare anche attenti al metodo dialettico che usiamo per definire le nostre priorità in base ai loro contrari, perché a volte questi definiscono il loro significato. E così il contrario di Pace non è Guerra. Il contrario di pace è povertà, disuguaglianza, schiavitù.
Se consideriamo la pace come il contrario della guerra e la cooperazione internazionale come l’opposto agli armamenti, rischiamo di rafforzare il nesso prioritario tra le due cose e trasformare la cooperazione internazionale in politica di sicurezza. Non dobbiamo “svuotare gli arsenali per colmare i granai”, dobbiamo svuotare gli arsenali e basta. E le risorse che servono per la cooperazione internazionale vanno trovate a prescindere dalla disponibilità di altre voci, perché sono investimenti fondamentali ed indispensabili per avere più libertà ed uguaglianza.
Dobbiamo capire che la cooperazione internazionale è un investimento fondamentale per il lavoro, l’ambiente, la salute, l’istruzione, l’economia e la fiscalità.
Gli aspetti che maggiormente condizioneranno il lavoro nel futuro saranno la delocalizzazione e l’automatizzazione. Secondo uno studio di confartigianato, nel 2013 le imprese italiane all’estero hanno impiegato 834.000 addetti. È chiaro che la delocalizzazione ha un impatto sul lavoro in Italia. È altrettanto vero che ha un impatto positivo sulle economie dei paesi in cui queste imprese investono. Abbiamo rincorso una globalizzazione al ribasso. Per non far delocalizzare, abbiamo tolto diritti in Italia. Dovremmo invece dare più diritti ai lavoratori bengalesi, cinesi, vietnamiti.
L’automatizzazione è l’altra grande sfida, connessa ai diritti dei lavoratori. Se i lavoratori costano troppo in Europa si va in Asia, ma se costano troppo anche lì allora ci affidiamo alle macchine. È una battaglia che non vinciamo da soli, è una battaglia che ha bisogno di tanta, tantissima politica estera per trovare soluzione globali.
Lo stesso vale per l’ambiente, gli effetti di politiche sbagliate o di comportamenti non sostenibili si avvertono ovunque. Su questo ci stiamo arrivando, ma anche qui le soluzioni passano sempre più per scelte globali.
E poi lo stesso vale anche per la salute, con malattie che prima pensavamo eradicate e che invece ritornano. O nell’istruzione e la cultura, che sono sempre più il software con cui funzioniamo noi macchine umane e che ci devono fornire strumenti, competenze e anche l’accreditamento per poter operare nel mondo intero.
Anche lo sviluppo economico ha bisogno di una visione globale, serve per eliminare le disuguaglianze in Italia, ma anche tra diversi paesi e continenti nel mondo. Lo sviluppo del nostro mezzogiorno passa dal Mediterraneo e dobbiamo smetterla di continuare a pensare a questo mare come fosse la frontiera d’Europa. Un piccolo mare su cui si affacciano Europa, Asia e Africa è il centro del mondo! Se permettiamo che altri ci considerino periferia alla fine lo diventiamo! Facciamolo questo Piano Marshall per l’Africa, ma non con 4,4 miliardi di Euro, ce ne servono 100 di miliardi e di risorse vere.
E mi sembra chiaro anche il ruolo della politica estera e della cooperazione internazionale sui temi della regolamentazione della finanza e soprattutto dell’adempimento degli obblighi fiscali, perché ci sia una fiscalità progressiva vera in un mondo globalizzato dobbiamo dotarci di strumenti globali.
Io credo che in un mondo globale la politica estera e la cooperazione internazionale debbano acquistare una centralità totale. Dobbiamo dire con forza che le risposte sovraniste e nazionaliste non sono solo inefficaci, ma anche nocive. In realtà noi non abbiamo bisogno di meno globalizzazione, ne abbiamo bisogno di più, una globalizzazione dei diritti. Questa ci potrà portare ad essere tutti e tutte più liberi, libere ed uguali.
Daniele Panzeri[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]