E così la tanto sventolata terza repubblica riparte dagli anni ’80.
L’importante è che ci guadagnino tutti: se uno fattura di più, risparmia di più, reinveste di più, assume un operaio in più, acquista una macchina in più, e crea lavoro in più. Non siamo in grado di moltiplicare pani e pesci. Il nostro obiettivo è che tutti riescano ad avere qualche lira in più nelle tasche da spendere.
Questo è quanto dichiarato oggi da Salvini a Radio Anch’io a proposito della Flat Tax, bandiera del centrodestra nella scorsa campagna elettorale e punto cardine del “contratto” di governo Lega-5Stelle.
In buona sostanza, la cara vecchia trickle-down economy di reaganiana memoria. Il governo del cambiamento è un bel ritorno al futuro, verrebbe da dire. Se non ché il film con quel titolo è del 1985, mentre le idee sbandierate da Salvini sono persino più vecchie.
Era infatti il luglio del 1981, 37 anni fa, quando Ronald Reagan spiegò in diretta tv (oggi lo farebbe in streaming, probabilmente) il suo piano di riduzione delle imposte che, appunto, tagliando le tasse soprattutto ai ricchi e molto ricchi avrebbe portato questi a investire maggiormente con ricadute positive anche sui meno abbienti (il famoso trickle-down, o gocciolamento).
Ma si sa che Salvini, come ama ripetere lui stesso, bada poco alla forma e molto ai fatti, e quindi non importa se la ricetta sia vecchia o nuova, quello che conta è che funzioni.
Già, il problema è che non funziona.
I magnifici risultati dell’amministrazione Reagan, il più fulgido esempio dell’applicazione delle dottrine amate da Salvini e dal suo governo, parlano chiaro. Il debito pubblico è praticamente triplicato, passando dai 780 miliardi del 1980 ai circa 2000 miliardi del 1988, e a fronte di questa enorme spesa i risultati in termini di posti di lavoro sono stati decisamente modesti, con una diminuzione della disoccupazione di appena l’1,6%. La ricchezza ha “gocciolato” pochissimo su chi aveva meno, solo lo 0,5% delle famiglie sotto la soglia di povertà ha visto la propria condizione cambiare durante gli anni di Reagan.
Gli effetti sulla società sono stati devastanti. La disuguaglianza è sempre cresciuta, come testimoniato dall’Indice di Gini, che nel 1979 valeva 34.6 punti, nel 1986 37.2, nel 1991 — due anni dopo la conclusione della presidenza Reagan — 38.2.
E sempre a giudicare dai risultati del modello statunitense, neanche la tanto invocata pace fiscale che questo governo si propone di attuare con la flat tax sembra molto più di un’illusione: sembrerà strano, ma abbassando le tasse lo Stato ha preso meno soldi. Non è accaduto che con l’abbassarsi delle tasse più persone abbiano scelto di pagarle, né è vero che la maggiore crescita abbia portato indirettamente ad un aumento delle entrate: gli introiti dal 1981 al 1988, gli anni di Reagan, sono scesi dello 0,3% rispetto agli 8 anni precedenti.
E il tutto, è bene ricordare, in un’era ben diversa dalla nostra. Il mondo degli anni ’80 era molto, molto diverso da quello odierno, per non parlare delle enormi differenze tra l’economia americana e quella italiana.
Non c’è alcun indicatore e non c’è alcun dato che lasci intendere che una riduzione di tasse ai più ricchi porterebbe a un beneficio reale per il nostro paese e per la maggior parte delle nostre cittadine e dei nostri cittadini.
L’unica cosa sicura è che sarebbe un bel regalo a chi sta già bene se non benissimo, mentre i nostri conti pubblici ne avrebbero a soffrire, così come i servizi pubblici, entrambi già molto fiaccati da questi anni.
Uno dei motti preferiti dei fan della trickle-down economy è “a rising tide lifts all boats”, l’alta marea alza tutte le barche.
Ecco, caro vicepremier Salvini, permetta anche a noi scettici una metafora marittima.
Le italiane e gli italiani sono già con l’acqua fino al collo. Vediamo di non fare l’onda.