Per quale motivo la collettività dovrebbe regalare un bene a dei privati per poi ricomprarlo da loro? È una domanda apparentemente banale, ma che nell’era dei Big Data è diventata invece fondamentale.
Ricordate Matteo Renzi nel 2016? “Abbiamo convinto Ibm a venire a Milano”, dichiarò lanciando lo Human Technopole che sorgerà nell’area dell’Expo 2015.
Sappiamo che la contropartita per la calata del colosso tecnologico in Italia erano finanziamenti per 60 milioni di euro equamente divisi tra Stato e Regione Lombardia, ma c’è di più: come già rivelato da Il Fatto Quotidiano qualche tempo fa, il governo si è impegnato a fornire gratuitamente a IBM i preziosissimi e riservatissimi dati sanitari degli italiani, a partire da quelli che vivono in Lombardia.
A che scopo? Per sviluppare sul fronte sanitario Watson, uno dei più promettenti progetti della IBM. Un progetto che potrebbe rivoluzionare completamente il mondo della sanità (solo per citarne uno tra molti) e che sicuramente potrà dare grandi benefici all’umanità, ma a quale costo, non solo etico, ma economico?
In molti, tra quelli che si sono posti degli interrogativi sull’accordo tra il Governo e IBM, hanno giustamente sollevato un problema di privacy e di protezione dei dati personali di ciascuno di noi, ma non si tratta solo di quello, anzi.
IBM userà i nostri dati (gratuitamente) per sviluppare un sistema che poi sfrutterà a fini commerciali, e che ciascuno di noi dovrà pagare, come singoli cittadini o come collettività.
Vediamo di approfondire. Cos’è Watson, prima di tutto?
Si tratta di un Question answering computing system, un sistema computerizzato in grado di rispondere a domande in linguaggio naturale. In soldoni, un sistema di intelligenza artificiale in grado di formulare ipotesi e fornire pareri sulla base dell’analisi dei dati a sua disposizione.
Come funziona?
Ad esempio, un medico pone una domanda al sistema specificando i sintomi e gli altri fattori correlati, Watson prima elabora l’informazione per identificare le parti più importanti, poi elabora i dati del paziente per trovare fatti rilevanti nella storia medica ed ereditaria del paziente, in seguito esamina i dati disponibili dalle fonti per formulare e testare ipotesi, e infine fornisce una lista di raccomandazioni individualizzate e classificate per livello di evidenza. Le sorgenti di dati che Watson utilizza per le analisi possono includere linee guida di trattamenti, annotazioni dei dottori e degli infermieri, materiali di ricerca, studi clinici, articoli di riviste, informazioni sul paziente e (eccoli qua) registri medici elettronici, .
Ecco il punto: l’eccezionalità di Watson risiede nella sua capacità di elaborare rapidissimamente milioni e milioni di dati. La sua “ricchezza” perciò risiede nella genialità di chi ha sviluppato per lui questa capacità, ma anche nell’accesso a quei dati.
Quindi IBM, vendendo Watson, guadagna tanto sul “motore” geniale che ha ideato, quanto sul “carburante” che lo alimenta, cioè i nostri dati. Non è difficile immaginare un futuro prossimo in cui sarà imprescindibile dotarsi di Watson per un migliore e più avanzato sistema di cure, non solo privato ma soprattutto pubblico, come noi tutti riteniamo sia nostro diritto avere.
Perciò dobbiamo sperare che lo Stato Italiano si prodighi per dotare tutti i nostri ospedali e distretti del sistema in questione, e ovviamente IBM non potrà certo cederlo gratuitamente. E se è giusto che la genialità degli sviluppatori IBM e l’investimento alle spalle del progetto Watson vengano retribuiti, ci domandiamo se sia altrettanto giusto che noi si paghi lo sfruttamento dei nostri stessi dati che abbiamo così generosamente ceduto in forma gratuita a IBM, per mano del nostro Governo.
Il Governo si è per caso fatto la stessa domanda? Che tipo di accordo ha perciò immaginato con IBM per proteggere gli interessi del nostro Paese? Ci piacerebbe saperlo, speriamo di non dover interrogare Watson, per avere una risposta.