[vc_row][vc_column][vc_column_text]Ve lo ricordate il Consiglio europeo dello scorso giugno? Quello che ci fece vivere attimi di tensione a causa del protagonismo dei dilettanti allo sbaraglio che governano il nostro paese? Se non ve lo ricordate, ve lo ricordiamo noi: il premier Giuseppe Conte, dopo aver ribadito il suo essere professore di Legge e dopo ore di negoziato, rivendicò subito il grande risultato ottenuto dall’Italia (qui il video):
L’Italia non è più sola. È passato il principio che il tema della regolazione delle migrazioni e della gestione dei flussi migratori, dev’essere affrontato secondo un approccio più integrato, come avevamo richiesto. Che riguardi sia la dimensione interna sia quella esterna, sia il controllo delle forntiere. All’articolo uno. Ancora all’articolo uno è affermato il principio: chi arriva in Italia arriva in Europa.
Peccato, davvero peccato, che il premier professor Conte si sia fermato al primo articolo e non abbia proseguito nella lettura. Sarebbe bastato arrivare all’articolo sei (di dodici riguardanti le migrazioni, non esattamente una lettura impossibile) per leggere quanto segue:
Nel territorio dell’UE coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell’UE, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà. Tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino.
Era già tutto scritto nell’accordo siglato dal governo italiano a fine giugno: i migranti salvati saranno trasferiti «unicamente su base volontaria» e «lasciando impregiudicata la riforma di Dublino», perché era la riforma di Dublino il principale punto all’ordine del giorno. La proposta di riforma votata dal Parlamento, dopo ventidue riunioni di negoziato bellamente ignorate dagli esponenti della Lega, avrebbe introdotto meccanismi automatici di ripartizione. Il governo di Salvini — dopo essersene infischiati per mesi e mesi nelle sedi competenti — questa proposta di riforma non l’ha sostenuta, per celebrare invece come un successo un documento che sancisce solamente dei principi non vincolanti, che non prevede nessuna soluzione strutturale, ma lascia spazio alla sola propaganda cattiva e cattiveria propagandistica.
Una propaganda che si manifesta con azioni palesemente contrarie alla Costituzione, alle Convenzioni internazionali, alla legge. Ricatti terribili che sono solo bluff, e che sono possibili perché un governo di incompetenti ha rifiutato una riforma che ci avrebbe aiutato in nome di quel nazionalismo che strizza l’occhio a Putin e Orban, col paradosso di invocare poi la solidarietà europea nella ripartizione dei migranti salvati nel Mediterraneo e — addirittura — che si trovano a bordo di navi della Guardia costiera italiana.
Il tutto mentre un paese di sessanta milioni di abitanti, membro del G7 e fondatore dell’Unione europea, segnato da una profonda crisi che non se ne va, meriterebbe una strategia per guardare al futuro con ottimismo, che ci faccia sperare di poter essere più liberi e più felici, insieme, senza chiuderci nel nazionalismo dell’abbaiare tanto e forte. Chi ci guarda dall’esterno penserà che siamo nelle mani di pazzi che non hanno mezza idea sparata su come gestire nulla, e viene come il sospetto che abbia ragione.
Stefano Catone
Giuseppe Civati[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]