Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, è ormai quasi quotidianamente intervistato da riviste e quotidiani poiché è diventato di fatto una delle poche voci contrarie alla legalizzazione della cannabis (se si eccettuano i soliti Giovanardi, Gasparri, Lupi, eccetera, che però non hanno l’autorevolezza del procuratore sul tema), proposta che, come in molti sapete, è in discussione nel nostro Parlamento.
Ovviamente il procuratore ha tutto il diritto di essere contrario e di cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema, ma analizzando meglio l’ultima intervista rilasciata alla Stampa nei giorni scorsi e confrontandola con quella rilasciata allo stesso quotidiano soltanto tre mesi fa si possono facilmente rilevare diverse inesattezze e incongruenze, che certamente non si addicono a un magistrato con la sua storia professionale e con la sua, a questo punto presunta, conoscenza del tema.
Partiamo dalla principale incongruenza. A luglio Gratteri diceva: «Il guadagno che si sottrarrebbe alle mafie è quasi ridicolo rispetto a quanto la criminalità trae dal traffico di cocaina e eroina. Un grammo di eroina costa 50 euro, un grammo di marijuana costa 4 euro. Non c’è paragone dal punto di vista economico».
Mentre oggi dice che «la cannabis è una fonte di guadagno importante per le mafie», e tra le ragioni per cui investono nella marijuana ci sarebbe il minor rischio «rispetto al traffico internazionale di cocaina ed eroina. Dietro la marijuana “made in Italy” di solito ci sono organizzazioni locali che controllano il territorio. Spesso sono gruppi a carattere regionale o nazionale».
Onestamente non riesco quindi a capire se per Gratteri la cannabis sia o no un’importante fonte di business per le mafie. Per sciogliere qualche dubbio può essere utile fare riferimento all’opinione di chi è a capo della procura nazionale antimafia, che, guarda caso, è favorevole alla legalizzazione.
Mi direte: ma a volte, se si è incalzati dai giornalisti, può succedere che a distanza di tempo si dicano due cose in contrasto tra di loro. Magari è il giornalista che ha riportato male le parole del procuratore. Nel qual caso, però, esistono anche le smentite.
Ben più grave è invece la disinformazione tecnica che il procuratore esibisce in entrambe le interviste, in questi tre passaggi:
- «Penso che uno Stato democratico non si possa permettere il lusso di liberalizzare ciò che provoca danni alla salute dei cittadini. Non possiamo liberalizzare ciò che fa male».
- Legalizzare la cannabis potrebbe essere utile? «No. Non molto tempo fa ho incontrato dei ragazzi tossicodipendenti. Mi hanno detto: ’Noi abbiamo iniziato con le canne’».
- «In Colorado con la legalizzazione delle droghe leggere sono aumentati consumi, reati, crimini violenti e ricoveri in ospedale».
Vediamole nello specifico.
- Il primo errore è lessicale: stiamo parlando di legalizzazione e non di liberalizzazione. Sono due cose ben diverse, e spiace informare il procuratore che i mercati della droga (tutti) sono già liberalizzati, visto che i prodotti si possono comprare (certo, illegalmente) su tutto il territorio nazionale a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il secondo errore – contenuto sempre nella prima affermazione — è invece ben più grave, perché il procuratore sembra dimenticare che esistono svariate sostanze “legalizzate” che fanno male, in primis alcol e tabacco, che secondo qualsiasi ricerca sul tema sono molto più pericolose per la salute dei cittadini rispetto alla cannabis:
- Spiace ancora che il procuratore utilizzi un artifizio retorico per portare nuovamente alla ribalta una tesi che è stata ampiamente smentita da più fonti, quella della cosiddetta “Gateway Drug theory” o “teoria della droga di passaggio”, che si è dimostrata nel tempo inventata di sana pianta dal Federal Bureau of Narcotics e dal suo fantomatico direttore Harry Jacob Anslinger. Vi rimando per approfondire alla relativa pagina di Wikipedia.
- Sulla relazione tra legalizzazione della cannabis e crimini abbiamo già avuto modo di citare uno studio di Davide Dragone, Giovanni Prarolo, Paolo Vanin e Giulio Zanella dell’Università di Bologna, che si concentra sull’analisi dei dati provenienti da Washington e Oregon, stati che hanno progressivamente legalizzato la cannabis (compresa la cannabis ricreativa) negli ultimi anni. Le conclusioni sono sorprendenti, dato che meccanismi “diversi ma complementari” potrebbero addirittura portare a un calo della criminalità: «In primo luogo, un mercato della cannabis pienamente legalizzato riduce il coinvolgimento delle organizzazioni criminali del traffico di droga. In secondo luogo, permette alla polizia di deviare le risorse verso la prevenzione di crimini non correlati alla cannabis. Un effetto rafforzato se i dispensari di cannabis adottano misure di sicurezza. In terzo luogo, l’uso di cannabis determina una varietà di effetti psicoattivi, che comprendono uno stato di rilassamento ed euforia (Hall et al., 2001; Green et al, 2003), e può quindi ridurre la probabilità di impegnarsi in attività violente. Ciò si ottiene, in particolare, se la cannabis è un sostituto per le sostanze che inducono alla violenza come l’alcol, la cocaina e le anfetamine (DiNardo e Lemieux, 2001; Williams et al., 2004)».
Per ora è tutto, ma mi aspetto nuove sorprese dalla prossima intervista del procuratore, che magari con il tempo e con un’informazione corretta cambierà idea, come ha fatto il dott. Cantone, che dopo qualche perplessità iniziale adesso è favorevole alla legalizzazione della cannabis.