L’entrata in vigore del Green Pass ha, immediatamente, creato enormi problemi alle persone trans.
Poche settimane fa tutti discutevamo del DDL Zan, che però è stato fermato in Senato dal voltafaccia di Italia Viva (che può raccontarla come vuole, perché a raccontarla son bravissimi, ma questo è), partito che ha proposto una “mediazione” con la destra più becera (Salvini, ricordo, è di destra, anche se siede al governo con PD e LEU) che prevedeva fra l’altro l’esclusione dalle tutele delle persone trans, eliminando il riferimento all’identità di genere.
La questione Green Pass ripropone con urgenza (non necessaria) proprio la questione dell’identità di genere.
Ci sono persone il cui aspetto non corrisponde alle aspettative di genere connesse al dato anagrafico.
Esporre queste persone a una disvelazione pubblica di un dato personale significa, come tutti sappiamo, esporle a situazioni di ostilità, discriminazioni e, purtroppo, violenze, tutt’ora non adeguatamente punite proprio a causa della mancata approvazione del DDL Zan.
Le segnalazioni e le denunce di comportamenti non adeguati (per ora siamo solo a questo) sono già fioccate numerose.
Ma questo significa anche che persone in regola con la normativa emergenziale e, teoricamente, con gli stessi diritti di tutte le altre, saranno portate a non usufruire dei servizi condizionati all’esibizione del Green Pass, con una discriminazione di fatto enorme e dolorosa.
Purtroppo c’è di più.
Proprio ieri il Viminale ha emesso una circolare per, a suo dire, chiarire i dubbi interpretativi proprio sulla questione dei documenti di identità da esibire per l’ingresso nei luoghi indicati dalle norme, come ad esempio i ristoranti.
La norma vigente già prevedeva come non ci fosse obbligo di richiesta del documento da parte dell’esercente, che però ne aveva facoltà.
Una improvvida dichiarazione della ministra Lamorgese, che aveva sostenuto come, invece, il ristoratore non potesse chiedere il documento, ha portato al tentativo di mettere una pezza con una circolare, che di fatto conferma la norma previgente.
Con una rilevante novità, poiché riporta che «la verifica dell’identità della persona ha natura discrezionale ed è rivolta a garantire il legittimo possesso della certificazione. Si rende necessaria in caso di abuso o di elusione delle norme, come ad esempio quando appaia manifesta l’incongruenza dei dati anagrafici contenuti nella certificazione». Viene poi sottolineato che «qualora si accerti la non corrispondenza fra il possessore della certificazione e l’intetatario della medesima, la sanzione si applica solo all’avventore, laddove non siano riscontrabili palesi responsabilità a carico dell’esercente».
Ora, qual è il caso di scuola di palese incongruenza dei dati anagrafici contenuti nella certificazione?
Quando una persona in transizione non l’ha conclusa e quindi anagraficamente risulta di sesso diverso da quello che manifesta esteriormente.
Ed era banalmente il motivo per cui nel DDL Zan era inserita la definizione di identità di genere, che appunto indicava non tanto il capriccio di chi una mattina si svegliava e decideva di essere uomo o donna, come pensa il senatore Faraone insieme ad un ristretto gruppo di pseudofemministe annoiate, ma la manifestazione esteriore di un percorso di transizione e quindi una non corrispondenza.
Ma lo capite adesso sì o no, che quella norma era ed è indispensabile per tutelare le persone trans?
Non è finita qui però, perché in questo caso, anche dopo l’esibizione del documento di identità la “palese incongruenza” permane.
E allora che si fa, ministra Lamorgese?
Quante persone avranno la sensibilità di capire la situazione e quante invece ne approfitteranno per cacciare, pubblicamente, le persone controllate?
Quanti comprenderanno e quanti invece chiameranno i Carabinieri?
Certo, dice la circolare che in ogni caso la verifica «deve essere svolta con modalità che tutelino la riservatezza della persona anche nei confronti di terzi», come no.
Ma se le modalità non sono rispettate che tutele hanno i controllati?
Quali sanzioni sono previste nei confronti di chi viola pubblicamente la privacy di una persona esponendola alla gogna pubblica?
Nessuna, come sempre, senza dimenticare che, al di là delle modalità, il solo fatto di impedire, illegittimamente, l’accesso a una persona davanti a tutti è una violazione, piuttosto grave.
I diritti civili delle persone trans, anche in questo caso, sono negati.
P.S. Prevengo la trita obiezione “Eh ma voi di Possibile state sempre a criticare ma non c’è soluzione!”
No, la soluzione c’è.
Basterebbe, e si può fare subito, inserire nel form utilizzato per scaricare il Green Pass un’opzione, una casellina da spuntare.
“Sono una persona trans*”.
E prevedere che il documento, in questo caso, aggiunga ben chiara la dicitura “Nome e genere della persona titolare possono non corrispondere al suo aspetto fisico. Il controllore è tenuto a evitare domande o commenti che possano esporla pubblicamente”.
Ma per affrontare un problema, si sa, bisogna essere consapevoli della sua esistenza.
La card nell’immagine è stata preparata dal Gruppo Trans per poter essere mostrata in caso di bisogno a chi controlla il Green Pass. Leggi la loro proposta e trova tutti i dettagli sul sito dell’associazione.