“Le disuguaglianze hanno raggiunto un livello intollerabile: siamo il secondo paese più diseguale d’Europa dopo il Portogallo e quello con la più bassa mobilità sociale. La distribuzione della ricchezza negli ultimi vent’anni è cambiata drasticamente favorendo solo alcuni gruppi.”
Emanuele Ferragina è un fiume in piena. C’è tantissimo lavoro da fare, in Italia. È necessario riflettere veramente sul tema della redistribuzione e dello stato sociale. Ferragina, classe 1983 da Catanzaro, editorialista per Il Fatto Quotidiano, insegna a Oxford (“mi dedico allo studio del capitale sociale, dello stato sociale e delle disuguaglianze”) dove ha fondato Fonderia Oxford: “un think tank di riflessione sulle politiche che potrebbero giovare allo sviluppo del nostro paese. Organizziamo seminari che trasmettiamo via streaming, partecipiamo al dibattito pubblico (televisione e carta stampata) e proponiamo policy concrete in modo semplice e chiaro.” Ed è dalle attività di questo gruppo di lavoro che è nato il libro Chi troppo chi niente (Bur, 2013), dove si illustra un progetto di stato sociale fattibile e innovativo.
“Siamo afflitti da due mali: il liberismo tutto portato a difendere gli interessi del grande capitale, e il corporativismo della vecchia sinistra pronto a sacrificare i giovani per proteggere uno stato sociale che ha favorito solo alcune categorie. Le disuguaglianze deprimono l’economia. Propongo di intervenire in cinque campi: dagli ordini professionali alla previdenza, dal lavoro alla coesione sociale, al federalismo. Si tratta di politiche diverse, che hanno tutte come fine ultimo la riduzione della disuguaglianza per accrescere l’efficienza del paese. Solo ridistribuendo con coraggio la tassazione, colpendo le ricche pensioni di anzianità e intervenendo con decisione sui patrimoni e le rendite finanziarie, si può mettere in cantiere il programma di riforme che propongo. Basta con la tassazione altissima sul reddito da lavoro e sulle imprese che innovano. Riduciamo, invece, gli eccessivi benefici concessi dal welfare a pochi fortunati e tassiamo di più le rendite spropositate che non contribuiscono a far crescere la produttività del paese. Esiste una coalizione potenziale da 25 milioni di votanti che avrebbe tutto l’interesse a sposare l’agenda per l’uguaglianza. I pensionati sotto i 1000 euro, i disoccupati, i lavoratori precari e in nero, chi guadagna meno di 1200 euro. Una coalizione maggioritaria che non esiste solo in Italia ma anche in altri grandi paesi Europei. L’agenda redistributiva potrebbe diventare, con vari correttivi nazionali, un programma a livello continentale per federare tutte le forze progressiste, partendo da chi oggi è più debole.”
Una riforma strutturale e radicale, quindi. Ma come attuarla? Ferragina ha collaborato alla stesura della mozione congressuale di Giuseppe Civati.
“Lo dico con chiarezza: non credo in questo PD. Ho subito avversato il governo delle larghe intese. Tuttavia ritengo che sia dallo spazio politico che oggi occupano PD, SEL e MoVimento che occorra ripartire con una nuova idea progressista di società. Le etichette per me contano poco, contano le idee e la necessità di spostare la barra dal neo-liberismo e dal corporativismo della vecchia sinistra – vedi posizioni conservatrici delle maggiori sigle sindacali – verso una nuova forma di progressismo. Conosco una sola appartenenza, quella segnata dalla stella polare dell’uguaglianza. Ho accettato l’invito a collaborare alla stesura della mozione prima di conoscere personalmente Civati. Una sua telefonata dopo aver letto il mio libro mi ha mostrato una qualità difficilmente riscontrabile in un politico italiano: la capacità di ascoltare. Giuseppe Civati mi ha subito dato l’impressione di uno che non parla a sproposito ed ha voglia di mettere insieme un gruppo di persone giovani e preparate per affrontare le sfide del nostro paese.”
#Civoti 18: Emanuele Ferragina