“I giorni tra il 10 e il 13 giugno 1981 segnano uno spartiacque simbolico per l’intero immaginario italiano: da quel momento in poi, un intero popolo si separa dalla propria identità e ne sceglie – ne acquista – un’altra preconfezionata, fabbricata altrove. Possiamo definire questo processo una progressiva e radicale dissociazione collettiva dalla realtà, una forma di schizofrenia nazionale e di rimozione costante dei propri traumi che rappresenta ancora oggi l’origine dei nostri maggiori problemi. È un problema culturale gigantesco che si riflette in ogni scelta e in ogni comportamento, individuale e collettivo. Possiamo dire che non solo Alfredino, ma l’Italia intera sprofondò nel pozzo di Vermicino: da lì, da quel tunnel percettivo, si tratta oggi di estrarla, di tirarla fuori.”
Christian Caliandro, storico dell’arte contemporanea e esperto di politiche culturali, ha recentemente pubblicato una lucidissima analisi su come il nostro paese abbia, anno dopo anno, rifiutato la questione culturale, acquistando una percezione diversa della realtà e relegando il senso di conflitto a una dimensione di pacificazione forzata: Italia Revolution. Rinascere con la cultura (Bompiani, 2013).
“Da qualche anno mi occupo di capire – dal punto di vista della storia culturale – come in Italia si sia prodotta la devastazione che abbiamo sotto gli occhi, e come avviare una ricostruzione seria del livello immateriale prima ancora che materiale partendo proprio dalla cultura. Credo che la mia attività politica coincida completamente con la mia attività culturale e intellettuale. Non sono mai stato iscritto a nessun partito.”
Perché politica è quello che fai tutti i giorni. Nel modo in cui affronti le sfide che ti si pongono davanti. Christian vuole usare le armi della critica per interpretare lo spirito del tempo e cercare di proporre un nuovo modo di configurare il lavoro culturale in Italia. Che può – anzi, deve – essere un trampolino per il rilancio del paese tutto. “La cultura non si mangia e la cultura si mangia sono due affermazioni solo apparentemente contrarie: si tratta di un’opposizione illusoria, perché entrambe rientrano nel medesimo recinto concettuale, quello che in mancanza di un aggettivo migliore definiamo neoliberista, che ha radici molto più profonde e lontane ma che nell’ultimo trentennio è divenuto dominante, e in base al quale il valore di qualcosa è tale solo se è quantificabile, monetizzabile. Questo ovviamente non vuol dire escludere la dimensione realmente economica della cultura, che esiste ed è essenziale, se compresa correttamente: vuol dire semplicemente rifiutare la dimensione e l’interpretazione economicistica e strumentale della cultura, la logica estrattiva che c’è dietro metafore orrende come quella del giacimento di petrolio o del tesoro-che-non-sappiamo-sfruttare.”
Per l’8 dicembre, Christian ha deciso di supportare la sfida di Giuseppe Civati. “Mi sono avvicinato a Civati in occasione dell’incontro di Prossima Italia a Albinea nel luglio del 2012: di lui mi piace la chiarezza mentale, il fatto che esprima e argomenti contenuti che mi convincono profondamente. E che mi convincono del fatto che i medesimi contenuti li conosce a fondo e li pratica.”
La proposta di Civati, infatti, vuole attuale una vera e proprio rivoluzione culturale di cui il paese sembra avere un vitale bisogno. “Bisogna compiere un percorso di autoformazione, che sarà inevitabilmente lungo, faticoso, a tratti anche doloroso, per rimuovere la rimozione e superare l’affezione patologica alla finzione, alla simulazione, alla dissociazione, le vere passioni attitudinali dell’Italia. Uscire dalla cultura dell’emergenza che da troppo tempo ci domina completamente, ricollegare il pensiero all’azione, intesa come trasformazione della realtà, e puntare sulla dimensione della serietà, della competenza, della conoscenza praticata sul terreno pratico di politiche concrete, efficaci, e su quello teorico di una visione più ampia, di una percezione finalmente e nuovamente storica dei nostri problemi e delle nostre criticità.”
Ma il PD può essere quel partito? “Attualmente mi sembra che il PD assomigli alla Manhattan de I guerrieri della notte di Walter Hill: il terreno di uno scontro che non fa bene alla politica e a una concezione sana dell’impegno politico. Dopo l’8 dicembre, mi piacerebbe che il PD si proponesse come una forza autorevole, convintamente di sinistra, che proponga con impegno e coerenza un sistema di valori fondato saldamente nel passato e proiettato nel futuro: di questo soprattutto abbiamo bisogno per immaginare e realizzare la ricostruzione immateriale e materiale del Paese, una ricostruzione di punti di vista e di mentalità prima ancora che di infrastrutture. È un lavoro gravoso ma entusiasmante, che credo possa impegnare in maniera interessante un’intera vita: non credo che ci annoieremo.”
#civoti 16: Christian Caliandro