È di insicurezza e paura che si nutre il paese anche quando parla di amore omosessuale. Una paura che rivolge contro sé stesso, che scambia un sentimento in patologia e la realtà fattuale per una anomalia da estirpare. Per molto tempo il Partito Democratico ha balbettato in termini di diritti LGTB e, dinanzi alla deformazione dell’opinione pubblica, ha scelto di allinearsi ad essa, ha abbandonato la propensione progressista e si è nascosto dietro formule bizantine spesso sotto la forma di sigle e acronimi criptici. Anche una scelta lessicale può essere indicatore della reale intenzione del legislatore. E se si promettono i Pacs o i Civil Partnership quando il mondo discute del matrimonio gay e delle adozioni per le coppie e per i single, il divario rispetto al proprio tempo appare improvvisamente profondissimo.
Il paese separato non può esibire il dolore né la felicità. Non esibirà il lutto, non stringerà mani, non bacerà nessuno. Scrive Tondelli (Camere Separate, 1989) che quindi nascerà qualcuno per cui la memoria di un amore omosessuale “verrà accettata e custodita come un valore da cui trarre vita e speranza”. Voglio pensare che quel qualcuno siamo Noi.
L’intolleranza verso l’omosessualità è trascesa in violenza repressiva contro chi si dichiara fuori dalla clandestinità sessuale. Il Partito Democratico per lunghi anni non è nemmeno riuscito a far approvare una legge contro l’omofobia e, quando ci è riuscito, lo ha fatto scendendo a compromessi incomprensibili. Introdurre il Matrimonio egualitario significa scegliere la strada della pacificazione contro quella della violenza: significa la riconciliazione fra di noi, fra genitori e figli, fra fratelli e sorelle. Significa ammettere la possibilità di un Amore Civile nonché l’idea che il matrimonio non sia più l’acquisizione di una madre (màter e munus, il ‘compito della madre’) ma il riconoscimento pubblico di una volontà privata di condivisione di vita e destini. Senza andare lontano, tornando alla limpidezza del dettato costituzionale, a quelle formazioni sociali citate nell’articolo 2, in cui le famiglie LGTB hanno piena dignità di esser comprese, di essere riconosciute e garantite.
E non pare nemmeno irrealistico parlare di una famiglia, non più solo allargata, ma plurale. Non è l’omosessualità a rendere il genitore inidoneo come educatore, bensì la qualità della vita che esso è in grado di garantire al minore, il cui senso non è misurabile in termini meramente economici ma da valutare a partire dal rapporto di affetto che si è stabilito fra genitori e figli.
È il costo dell’intolleranza verso l’omosessualità che crea disagio nel minore. Nella mozione di Giuseppe Civati si chiede l’estensione al partner o al genitore non biologico della co-responsabilità sul minore e l’estensione della possibilità di adozione a persone singole o alle coppie formate da persone dello stesso sesso. Chiamando le cose con il proprio nome, abbandonando l’ipocrisia di formule inadeguate, scegliendo una posizione all’avanguardia, che, quando è spiegata e motivata come volontà di pacificazione, diventa immediatamente condivisibile.