I molteplici inganni del contratto a tutele crescenti

Per l’Unione Euro­pea il con­trat­to a tute­le cre­scen­ti dovreb­be con­si­ste­re in un con­trat­to che ini­zia “con un livel­lo di base di tute­la del lavo­ro” e in cui la pro­te­zio­ne si accu­mu­la “pro­gres­si­va­men­te via via che il lavo­ra­to­re occu­pa un posto di lavo­ro fino a rag­giun­ge­re una pro­te­zio­ne pie­na” (Con­si­glio euro­peo del dicem­bre 2008). La lett. c) del com­ma 7 del­la leg­ge dele­ga sul lavo­ro inve­ce sta­bi­li­sce che per tali con­trat­ti vie­ne esclu­sa, per sem­pre, la tute­la “pie­na” pre­vi­sta per i lavo­ra­to­ri già occu­pa­ti su un isti­tu­to cru­cia­le come quel­lo del licen­zia­men­to. La defi­ni­zio­ne di con­trat­to “a tute­le cre­scen­ti in rela­zio­ne all’anzianità di ser­vi­zio” è quin­di pura­men­te reto­ri­ca e stru­men­ta­le. Qui non c’è nul­la che “cre­sca”, si trat­ta sem­mai di un con­trat­to a tute­le de-cre­scen­ti, anzi dimez­za­te. Qui dun­que un pri­mo ingan­no, oltre a un evi­den­te con­tra­sto con gli orien­ta­men­ti del­la stes­sa Unio­ne Euro­pea in mate­ria di cosid­det­ta fle­xi­cu­ri­ty.

Un secon­do ingan­no sta nel­pre­sen­ta­re il nuo­vo con­trat­to come stru­men­to di ridu­zio­ne del pre­ca­ria­to e quin­di di esten­sio­ne dei dirit­ti. Infat­ti l’intenzione di ridur­re le tipo­lo­gie con­trat­tua­li è pura­men­te decla­ma­ta, ma per nul­la rea­liz­za­ta. Intan­to la prin­ci­pa­le for­ma di assun­zio­ne tem­po­ra­nea, il con­trat­to a ter­mi­ne, è sta­ta addi­rit­tu­ra incen­ti­va­ta qual­che mese fa con il decre­to che ha con­sen­ti­to i con­trat­ti a ter­mi­ne a‑causali, con cin­que pro­ro­ghe e rin­no­vi per tre anni (l.n. 78 del 16 mag­gio 2014), sen­za che nul­la si sia det­to del­la volon­tà di modi­fi­ca­re tale disci­pli­na. Inol­tre la stes­sa leg­ge dele­ga esten­de il ricor­so al lavo­ro con vou­cher e si limi­ta ad un vago accen­no al “supe­ra­men­to” del­le col­la­bo­ra­zio­ni coor­di­na­te e con­ti­nua­ti­ve. Tale rife­ri­men­to è anzi alquan­to inat­ten­di­bi­le, nono­stan­te le affer­ma­zio­ni del Pre­si­den­te del Con­si­glio (“annul­lia­mo cococo,cocopro e quel­la roba lì”, inter­vi­sta a La Repub­bli­ca del 30 novem­bre 2014): le col­la­bo­ra­zio­ni coor­di­na­te e con­ti­nua­ti­ve non pos­so­no esse­re abo­li­te quan­do si trat­ti di for­me legit­ti­me di lavo­ro auto­no­mo (a pro­po­si­to che fine fan­no le deci­ne di miglia­ia di coco­co assun­ti nel­la pub­bli­ca ammi­ni­stra­zio­ne, negli enti loca­li, nel­la sani­tà, negli enti di ricer­ca? si assu­mo­no con con­trat­ti a ter­mi­ne? E come si rispon­de alla sen­ten­za del­la Cor­te euro­pea di giu­sti­zia che dichia­ra ille­git­ti­ma la rei­te­ra­zio­ne del­le assun­zio­ni a ter­mi­ne nel­la scuo­la?). Si pos­so­no abo­li­re i co.co.pro. che furo­no intro­dot­ti dal­la leg­ge Bia­gi pro­prio per con­tra­sta­re l’abuso dei co.co.co. ed esten­de­re alcu­ne tute­le. Ma que­sto nel­la leg­ge dele­ga non c’è scrit­to, vie­ne det­to a paro­le. Vedre­mo se si farà, e come si tro­ve­rà su que­sto l’accordo con quei com­po­nen­ti del­la mag­gio­ran­za di gover­no (NCD) a cui si deve pro­prio l’introduzione del­la ampia tipo­lo­gia di con­trat­ti tem­po­ra­nei e ati­pi­ci effet­tua­ta con il dlgs. n.276 del 2003.

Se dun­que gli “inter­ven­ti di sem­pli­fi­ca­zio­ne, modi­fi­ca o supe­ra­men­to delle…tipologie con­trat­tua­li” resta­no del tut­to ipo­te­ti­ci e vir­tua­li, cer­ta è inve­ce l’introduzione di un nuo­vo dua­li­smo nel mer­ca­to del lavo­ro: a tut­ti i nuo­vi assun­ti ver­rà appli­ca­ta una tute­la dimez­za­ta con­tro i licen­zia­men­ti ingiu­sti­fi­ca­ti, men­tre i lavo­ra­to­ri già in ser­vi­zio godreb­be­ro inve­ce del­la tute­la per così dire “pie­na” dell’art.18. Sono evi­den­ti, e da più par­ti già segna­la­ti, gli effet­ti distor­si­vi che que­sta dispa­ri­tà di trat­ta­men­to deter­mi­ne­rà nel­le dina­mi­che del mer­ca­to del lavo­ro: da un lato ver­rà disin­cen­ti­va­ta la mobi­li­tà volon­ta­ria dei lavo­ra­to­ri già occu­pa­ti, dall’altro lato si incen­ti­ve­rà l’interesse del­le impre­se a libe­rar­si di que­sti ulti­mi per sosti­tuir­li con lavo­ra­to­ri assun­ti con il nuo­vo con­trat­to, il qua­le oltre ad assi­cu­ra­re una più age­vo­le licen­zia­bi­li­tà con­sen­te anche di frui­re del­la decon­tri­bu­zio­ne trien­na­le e del­lo scon­to Irap pre­vi­sti in paral­le­lo dal­la leg­ge di sta­bi­li­tà. Il dise­gno mira evi­den­te­men­te a deter­mi­na­re una pro­gres­si­va euta­na­sia dell’art.18, a segui­to vuoi del licen­zia­men­to dei lavo­ra­to­ri in ser­vi­zio vuoi del nor­ma­le turn over. Ma fino a quan­do l’effetto sosti­tu­ti­vo non ver­rà com­ple­ta­to si regi­stre­rà una visto­sa dif­fe­ren­zia­zio­ne di trat­ta­men­to tra quan­ti sono già tito­la­ri di un con­trat­to di lavo­ro e tut­ti colo­ro che ver­ran­no assun­ti dopo l’entrata in vigo­re del­la nuo­va disciplina.

Acca­drà quin­di che vi saran­no due tipi di lavo­ra­to­ri, occu­pa­ti nel­la stes­sa impre­sa, con la stes­sa qua­li­fi­ca e le mede­si­me man­sio­ni, ma con un trat­ta­men­to dif­fe­ren­te su un isti­tu­to cru­cia­le del rap­por­to di lavo­ro come quel­lo rela­ti­vo ai limi­ti del pote­re di licen­zia­men­to: il che signi­fi­ca che se licen­zia­ti per la mede­si­ma fat­ti­spe­cie gli uni potran­no otte­ne­re, in assen­za di giu­sti­fi­ca­to moti­vo, la rein­te­gra­zio­ne del rap­por­to, men­tre per gli altri il licen­zia­men­to ingiu­sti­fi­ca­to ver­rà solo mone­tiz­za­to. C’è da chie­der­si di qua­le gene­re di pro­gres­so si trat­ti, dopo le tan­te gia­cu­la­to­rie in mate­ria di “uni­ver­sa­liz­za­zio­ne” dei dirit­ti e supe­ra­men­to del­le bar­rie­re tra insi­ders e outsi­ders. E c’è da chie­der­si in qua­le stra­na acce­zio­ne del prin­ci­pio di ugua­glian­za e di ragio­ne­vo­lez­za pos­sa tro­va­re fon­da­men­to una dispa­ri­tà così macro­sco­pi­ca di trat­ta­men­to, la cui legit­ti­mi­tà dovreb­be esse­re argo­men­ta­ta sul­la base del fat­to che uno dei due lavo­ra­to­ri a suo tem­po, e maga­ri anni pri­ma, era sta­to assun­to con lo “spe­cia­le” “con­trat­to a tute­le cre­scen­ti”: tan­to “cre­scen­ti” da non fini­re mai di cre­sce­re, come un bam­bi­no che non diven­ta mai adul­to, come un appren­di­sta a vita. Di que­sto si dovrà occu­pa­re evi­den­te­men­te la Cor­te Costituzionale.

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Per l’intanto si può tran­quil­la­men­te affer­ma­re, ade­ren­do ad una auto­re­vo­le opi­nio­ne, che si trat­ta di una dif­fe­ren­za di trat­ta­men­to “ingiu­sta”: “que­sto sareb­be ingiu­sto”, ha rispo­sto infat­ti lo stes­so Pre­si­den­te del Con­si­glio a chi gli chie­de­va, qual­che tem­po fa, se l’art.18 sareb­be sta­to modi­fi­ca­to e/o abro­ga­to solo per i nuo­vi assun­ti (inter­vi­sta a La Repub­bli­ca del 30 set­tem­bre 2014). Si è quin­di assi­sti­to per mesi a uno spet­ta­co­lo sur­rea­le: il gover­no e nume­ro­si espo­nen­ti del­la mag­gio­ran­za dichia­ra­va­no a ogni piè sospin­to, nei media e duran­te lo stes­so esa­me in pri­ma let­tu­ra del d.d.l. al Sena­to, l’intenzione di modi­fi­ca­re e/o abro­ga­re l’art.18 sen­za che nel testo del d.d.l. vi fos­se alcun rife­ri­men­to al tema, con la pre­te­sa quin­di di rice­ve­re una dele­ga total­men­te in bian­co, sul­la paro­la, a segui­to del­la qua­le inter­ve­ni­re a pia­ci­men­to in sede di decre­ta­zio­ne dele­ga­ta. Poi nel­lo stes­so gover­no qual­cu­no deve ave­re avver­ti­to l’enormità dell’”eccesso dal­la dele­ga” che in tal modo si sareb­be rea­liz­za­to, con pla­tea­le vio­la­zio­ne dell’art.76 cost. E si è quin­di accet­ta­to di met­te­re alme­no per iscrit­to ciò che si inten­de fare, acco­glien­do infi­ne l’emendamento pre­sen­ta­to da espo­nen­ti del­la mino­ran­za PD alla Com­mis­sio­ne lavo­ro del­la Came­ra, il che, per così dire, costi­tui­sce già un pro­gres­so sul pia­no del­la lega­li­tà costi­tu­zio­na­le. Nel frat­tem­po si deve anche ave­re com­piu­ta­men­te rea­liz­za­to che la que­stio­ne non riguar­da­va un nume­ro pres­so­chè irri­le­van­te di per­so­ne, come in pre­ce­den­za si era ripe­tu­ta­men­te e incau­ta­men­te dichia­ra­to, ma oltre sei milio­ni di lavo­ra­to­ri dipen­den­ti, a cui andreb­be­ro aggiun­ti i tre milio­ni di pub­bli­ci dipen­den­ti, e che quin­di si rischia­va di apri­re la stra­da a una mole di licen­zia­men­ti di mas­sa e di ali­men­ta­re una pro­te­sta socia­le che si spe­ra di con­te­ne­re appli­can­do la disci­pli­na peg­gio­ra­ti­va ad “altri”, appun­to ai nuo­vi assun­ti. Un mes­sag­gio per­fet­to, come si vede, per pro­muo­ve­re soli­da­rie­tà e riu­ni­fi­ca­zio­ne del mon­do del lavoro.

Nel fare que­sto tut­ta­via si sono resi pale­si le inti­me con­trad­di­zio­ni sot­te­se alla inte­ra ope­ra­zio­ne. La dispo­si­zio­ne in ogget­to si pre­sen­ta con una for­mu­la in appa­ren­za ano­di­na e qua­si accat­ti­van­te, come se effet­ti­va­men­te si stes­se­ro attri­buen­do, in mate­ria di licen­zia­men­to, “tute­le” se non cre­scen­ti quan­to meno effet­ti­ve. Pri­ma si esclu­de per i licen­zia­men­ti eco­no­mi­ci la pos­si­bi­li­tà del­la rein­te­gra­zio­ne sosti­tui­ta da “un inden­niz­zo eco­no­mi­co cer­to e cre­scen­te con l’anzianità di ser­vi­zio”, poi si limi­ta “il dirit­to alla rein­te­gra­zio­ne ai licen­zia­men­ti nul­li e discri­mi­na­to­ri e a spe­ci­fi­che fat­ti­spe­cie di licen­zia­men­to disci­pli­na­re ingiu­sti­fi­ca­to”. E’ bene ricor­da­re che il dirit­to vigen­te (leg­ge Mon­ti-For­ne­ro, n.92 del 2002) pre­ve­de la rein­te­gra­zio­ne per i licen­zia­men­ti del pri­mo tipo solo in caso di “mani­fe­sta insus­si­sten­za” del moti­vo eco­no­mi­co e per i licen­zia­men­ti disci­pli­na­ri in caso di “insus­si­sten­za” del fat­to con­te­sta­to. Ora è come se si dices­se che per gli assun­ti con il nuo­vo con­trat­to la rein­te­gra­zio­ne non è pos­si­bi­le e va sosti­tui­ta con la mone­tiz­za­zio­ne anche ove il moti­vo eco­no­mi­co fos­se “mani­fe­sta­men­te insus­si­sten­te”, vale a dire pre­te­stuo­so, in fro­de alla leg­ge. Il che è pale­se­men­te inam­mis­si­bi­le, dato che il licen­zia­men­to immo­ti­va­to in que­sto caso sareb­be nul­lo. C’è quin­di qui una con­trad­di­zio­ne evi­den­te tra l’intenzione dichia­ra­ta (libe­ra­liz­za­zio­ne tota­le dei licen­zia­men­ti eco­no­mi­ci) e la pos­si­bi­li­tà di rea­liz­zar­la effet­ti­va­men­te, dato che non sia­mo nel 1965 quan­do l’ordinamento anco­ra con­sen­ti­va il licen­zia­men­to libe­ro, ma nel 2014 quan­do comun­que vige un obbli­go di moti­va­zio­ne e giu­sti­fi­ca­zio­ne del licen­zia­men­to. Nel caso poi dei licen­zia­men­ti disci­pli­na­ri si trat­ta di veri­fi­ca­re in che modo i decre­ti dele­ga­ti potran­no defi­ni­re le “spe­ci­fi­che fat­ti­spe­cie” per le qua­li sareb­be anco­ra ammes­sa la rein­te­gra­zio­ne. L’operazione pare ardua, dato che l’universo empi­ri­co dif­fi­cil­men­te si fa rin­chiu­de­re in dispo­si­zio­ni di carat­te­re tas­sa­ti­vo, come dimo­stra­no tut­ti i con­trat­ti col­let­ti­vi di lavo­ro che con­ten­go­no l’elencazione dei fat­ti che dan­no adi­to alle san­zio­ni disci­pli­na­ri sal­vo aggiun­ge­re la clau­so­la di sti­le per cui si trat­ta di rife­ri­men­ti pura­men­te esem­pli­fi­ca­ti­vi. Anche in que­sto caso può esse­re che l’ingannevole figu­ra del “con­trat­to a tute­le cre­scen­ti” si tra­sfor­mi in un boo­me­rang in fase attua­ti­va. Ma que­sto è un pro­ble­ma del domani.

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