I pescatori sequestrati sono il fallimento della politica italiana in Libia

I pescatori sequestrati sono l’immagine più vivida ed eclatante del fallimento della politica italiana in Libia. Il loro ritorno a casa - che ci auguriamo possa avvenire al più presto - deve essere il primo passo per cambiarla.

100 gior­ni. Sono pas­sa­ti 100 gior­ni da quel pri­mo set­tem­bre quan­do 18 pesca­to­ri sici­lia­ni, di Maza­ra del Val­lo, sono sta­ti fat­ti pri­gio­nie­ri in Libia da Kha­li­fa Haf­tar, uno dei “signo­ri del­la guer­ra” che gover­na­no par­ti del paese. 

Quel gior­no i loro due pesche­rec­ci sono sta­ti seque­stra­ti in acque inter­na­zio­na­li a 35 miglia a nord di Ben­ga­si da una moto­ve­det­ta di Haf­tar. Sono sta­ti accu­sa­ti pri­ma di aver get­ta­to le reti nel cosid­det­to “Mam­mel­lo­ne”, un pez­zo di mare da tem­po al cen­tro di con­tro­ver­sie, con la Libia che lo riven­di­ca come pro­prio nono­stan­te si tro­vi in acque inter­na­zio­na­li. Poi sono sta­ti accu­sa­ti di traf­fi­co di stu­pe­fa­cen­ti: accu­se con­trad­dit­to­rie, che si inse­guo­no tra di loro e che con ogni pro­ba­bi­li­tà sono sta­te gon­fia­te da Haf­tar, che sta usan­do le vite dei nostri 18 con­na­zio­na­li per una par­ti­ta più grande. 

Intan­to, spie­ga­va Nel­lo Sca­vo su Avve­ni­re qual­che gior­no fa, “il gover­no di Tri­po­li ne sta appro­fit­tan­do per rego­la­re i con­ti con Roma, accu­sa­ta di aver scel­to la poli­ti­ca del pie­de in due scar­pe: le trat­ta­ti­ve riser­va­te con le mili­zie e i traf­fi­can­ti fede­li a Tri­po­li, intan­to cer­can­do con Haf­tar il dia­lo­go sui poz­zi petro­li­fe­ri; l’inutile e costo­so ver­ti­ce di Paler­mo nel 2018 e le mis­sio­ni nava­li che non con­tra­sta­no per dav­ve­ro il traf­fi­co di armi desti­na­te ad Haf­tar e non pro­teg­go­no nean­che i pesca­to­ri sici­lia­ni. Non è un caso che a pero­ra­re la cau­sa di un pla­tea­le scam­bio di pri­gio­nie­ri, cer­to più imba­raz­zan­te di un qual­sia­si segre­to paga­men­to in dena­ro o di con­ces­sio­ni poli­ti­che da non sban­die­ra­re, sia pro­prio il vice­pre­si­den­te del con­si­glio pre­si­den­zia­le di Tri­po­li, Ahmed Maitig.”

Al cen­tro di que­sto scam­bio ci sareb­be­ro quat­tro libi­ci arre­sta­ti in Sici­lia cin­que anni fa, con­dan­na­ti in via defi­ni­ti­va a Cata­nia per la mor­te in mare di 49 migran­ti. Era­no gli Sca­fi­sti del­la “Stra­ge di Ferragosto”. 

Non fu una tra­ge­dia ma, secon­do quan­to rico­strui­to dal Tri­bu­na­le di Cata­nia, un vero e pro­prio omi­ci­dio plu­ri­mo: i migran­ti sul bar­co­ne sareb­be­ro sta­ti pre­si a cal­ci in testa pri­ma di mori­re, per lo più sof­fo­ca­ti, nel­le sti­ve dove era­no sta­ti reclu­si. La sce­na vista dai soc­cor­ri­to­ri — al momen­to del sal­va­tag­gio dei super­sti­ti — fu ter­ri­bi­le: “cor­pi sen­za vita ammas­sa­ti uno sul­l’al­tro, men­tre le don­ne si dispe­ra­va­no per i loro cari mor­ti”, ave­va rac­con­ta­to all’Huffington Post il coman­dan­te del Ciga­la Ful­go­si.

Uno scam­bio evi­den­te­men­te inac­cet­ta­bi­le, che potreb­be anche non basta­re per ripor­ta­re i nostri con­na­zio­na­li a casa: dopo il fal­li­men­to del­la sua sca­la­ta a Tri­po­li, in que­sto momen­to Haf­tar è in una posi­zio­ne deli­ca­ta, sen­za inter­lo­cu­to­ri. E a poco val­go­no le paro­le dell’Italia, che fino all’inizio di que­sta vicen­da si era tenu­ta in una posi­zio­ne equi­di­stan­te rispet­to agli scon­tri tra le varie fazio­ni libi­che. Tut­to, pur di “con­trol­la­re” il flus­so migra­to­rio. Qua­lun­que accor­do, a qua­lun­que prezzo.

Intan­to, dopo anni di accor­di ter­ri­bi­li con le varie fazio­ni libi­che, dopo anni di gra­vis­si­me vio­la­zio­ni di dirit­ti uma­ni, di stret­te di mano, memo­ran­dum, dopo anni in cui abbia­mo for­ni­to «soste­gno e finan­zia­men­to a pro­gram­mi di cre­sci­ta nel­le regio­ni col­pi­te dal feno­me­no dell’immigrazione irre­go­la­re», oltre che «sup­por­to tec­ni­co e tec­no­lo­gi­co agli orga­ni­smi libi­ci inca­ri­ca­ti del­la pre­ven­zio­ne e del con­tra­sto all’immigrazione irre­go­la­re e del­le atti­vi­tà di ricer­ca e soc­cor­so in mare e nel deser­to, in par­ti­co­la­re alla guar­dia di fron­tie­ra e alla guar­dia costie­ra», sta emer­gen­do in tut­ta la sua gra­vi­tà e dram­ma­ti­ci­tà la nostra pro­fon­da debo­lez­za.

I pesca­to­ri seque­stra­ti sono l’immagine più vivi­da ed ecla­tan­te del fal­li­men­to del­la poli­ti­ca ita­lia­na in Libia. Il loro ritor­no a casa — che ci augu­ria­mo pos­sa avve­ni­re al più pre­sto — deve esse­re il pri­mo pas­so per cambiarla.

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