Nei giorni scorsi i comitati toscani di Possibile hanno tenuto un incontro di autoformazione sul tema della criminalizzazione della solidarietà. La scelta di affrontare l’argomento traeva origine dalla constatazione che sempre più spesso, nei paesi europei e anche in Italia, persone e organizzazioni che si impegnano nell’aiuto a persone in difficoltà e più in generale nella difesa dei diritti umani, specialmente se migranti, entrano nel mirino delle autorità giudiziarie e di polizia (come nel recente caso di Trieste).
A influenzare le condotte dei governi europei sono stati spesso i partiti sovranisti presenti nelle coalizioni di maggioranza: le ONG si sono rapidamente trasformate in bersagli di riferimento, in rotta di collisione con le politiche restrittive attuate dagli Stati, i quali, contemporaneamente ai provvedimenti di respingimento che rimandavano i migranti verso paesi in cui potevano trovare la morte, hanno sempre più spesso adottato azioni di deterrenza nei confronti delle organizzazioni umanitarie.
Le persone che si attivano individualmente o in gruppo per difendere i diritti umani sono quindi oggetto di continue richieste di identificazione o di documentazione amministrativa; si fa ricorso a fattispecie penali come il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare anche quando non vi sia alcuno scopo di lucro; si irrogano sanzioni pecuniarie per violazioni amministrative; si adottano provvedimenti amministrativi di sequestro. La lista è lunga, ma è difficile quantificare l’esatta entità di questi comportamenti: sempre più spesso le organizzazioni umanitarie denunciano condotte vessatorie volte ad impedire di prestare assistenza lungo il cammino dei migranti o di renderne più facile l’approdo.
Un ulteriore elemento che rende difficile la quantificazione del fenomeno è la frequente mancanza di dati relativi alle contestazioni rivolte ai migranti che vogliono aiutare altri migranti, in quanto per costoro è assai difficile denunciare certe condotte.
Quest’ultimo rilievo richiama l’attenzione su un caso eclatante di applicazione di norme penali con intento deterrente.
Ci riferiamo a quando accaduto a Malta esattamente due anni fa, quando tre ragazzi (di 15, 16 e 19 anni) sono stati arrestati con molteplici accuse, fra cui il compimento di atti terroristici, per avere convinto il capitano della nave El Hiblu 1, che li aveva salvati in un gruppo di 108 persone su un gommone semi-affondato, a non riportarli a Tripoli (come invece gli era stato indicato dalle autorità europee che coordinavano il salvataggio), ma a dirigersi su Malta.
I tre ragazzi, che prima di salire sul gommone neppure si conoscevano fra loro, senza compiere alcuna violenza, grazie alla loro conoscenza dell’inglese avevano fatto da mediatori tra i migranti che chiedevano di non essere riportati in Libia, dove già avevano subito torture, e i componenti dell’equipaggio.
A due anni dai fatti i tre sono tuttora sotto processo e, dopo aver trascorso otto mesi in arresto, vivono a Malta in regime di libertà vigilata, con obbligo di firma quotidiano presso una stazione di polizia e divieto di avvicinarsi a meno di 50 metri da qualsiasi porto o aeroporto da cui potenzialmente potrebbero lasciare Malta. Data la gravità delle accuse, in caso di condanna rischiano di dover scontare lunghe pene in carcere.
I tre della El Hiblu hanno necessità di solidarietà e sostegno. Si tratta di tre giovani che hanno bisogno di dimenticare tutto il male che hanno già visto nei pochi anni della loro vita e che devono avere l’opportunità di vivere in sicurezza, studiare, trovare lavoro.
Noi sosteniamo la campagna per la richiesta di libertà dei tre della El Hiblu.
Per maggiori informazioni: https://elhiblu3.info
Fernanda De Luca e Carlo Buffa, co-portavoce Comitato Firenze Possibile Piero Calamandrei