Oggi Stefano Menichini dedica il suo editoriale su Europa al caso Cancellieri. Spera che il ministro sia in grado di difendersi e di dimostrare degnamente di non meritare la sfiducia, e speriamo lo stesso anche noi, pur pensando che non sarà facile. Poi se la prende con i “giovani indignati” del Pd, rimproverando loro “atteggiamenti strumentali e subalternità culturale, la voglia di surfare sull’onda dell’indignazione facile”. E ancora, e peggio, “la riluttanza a prendere di petto i mali strutturali che l’attualità ci pone di fronte, e che in questo caso si chiamano abuso della carcerazione preventiva, eccesso di pene detentive, disattenzione (o peggio) di magistrati inquirenti e giudicanti, sovraffollamento e degrado degli istituti.”
Il riferimento a Giuseppe Civati, candidato a guidare il Partito Democratico, è implicito ma chiaro. Ma ci sono diverse ragioni, oltre alla mera partigianeria congressuale, per cui è il punto di Menichini ad essere, al contrario, piuttosto strumentale, oltre che atto a distorcere le motivazioni della ‑sì dura- critica rivolta alla Cancellieri in questi giorni.
Il vero problema, la solita anomalia italiana, del caso Cancellieri-Ligresti non è tanto il fatto che il ministro abbia “salvato” la signora Giulia, evidentemente davvero in difficili situazioni di salute. Nessuno di coloro che hanno richiesto le dimissioni alla Cancellieri desiderava una sciagurata permanenza in carcera della suddetta, come sia lo stesso ministro, con quell’“E se Giulia fosse morta?”, sia altri autorevoli commentatori, condannando una teorizzata “voglia di giustizia sociale al ribasso e forcaiola” hanno malignato.
Il vero problema, dunque, è la solita discrezionalità e ingiustificata informalità con cui il caso è stato portato avanti: perché la famiglia Ligresti ha avuto la possibilità di avere un contatto privilegiato con il ministro? E ancora: sempre che quei “più di 100 ulteriori casi” di cui parla la Cancellieri abbiano effettivamente ricevuto sostegno dal ministro (eventualità tutta da dimostrare), vorremmo vederci chiaro sulle modalità, sulle procedure con cui ciò è avvenuto. Perchè, appunto, le carceri italiane versano in condizioni penose, barbare, e gli esseri umani ad aver bisogno di aiuto sono migliaia, non “più di cento”.
Pertanto, ciò che la gran parte degli italiani non può davvero più sopportare, e questo ‑va riconosciuto- può sì portare anche a degli accenti troppo giustizialisti in espressioni e rivendicazioni, è questa logica degli “amici degli amici”, è questa reiterata opacità nei processi (non necessariamente tribunalizi) che guidano il nostro stato di diritto. Non è una giustizia sociale al ribasso, non è un “tanto peggio tanto meglio” che si va ricercando, quanto davvero una giustizia uguale per tutti. E se la soluzione non sta nell’impedire alla Cancellieri di rispondere “al telefono ai Ligresti”, di certo un buon inizio sarebbe, per un ministro, non telefonare di propria sponte alla stessa famiglia, il giorno dopo la carcerazione di uno dei suoi componenti, mettendo ‑di fatto- a disposizione sé stessi e il proprio ministero. O vogliamo forse lasciar passare il concetto che chi impersona una funzione pubblica possa davvero fare un po’ come gli pare? E’ così assurda dunque una richiesta di dimissioni per l’inopportunità politica del comportamento verificato? Per fortuna, in ogni caso, la Ligresti è stata scarcerata seguendo delle procedure normali (che quindi esistono), e il punto vero è costruire un sistema dove l’accesso ai diritti sia garantito a tutti, che non necessiti di meccanismi discrezionali.
L’ultima accusa di Menichini, sulla “riluttanza a prendere di petto i mali strutturali” della situazione carceraria, va sicuramente rispedita al mittente: non è forse Civati ad aver proposto “provvedimenti clemenziali (indulto/amnistia) […] a valle di un intervento sistematico che operi sia sui flussi d’ingresso in carcere (riducendoli) sia sulle maglie d’uscita dal circuito penitenziario (allargandole per i detenuti meno pericolosi)”? A differenza di un Matteo Renzi (è buona norma fare i nomi di coloro di cui si parla) che vagamente definiva “un errore” liberare così dei detenuti, senza alcuna riforma? Non si può dunque imputare questa disattenzione, così, né al candidato segretario di Monza, né alla vaga categoria dei “giovani indignati del Pd”.