Il Governo deve accelerare sulla delega fiscale (legge n. 23 del 2014), se non altro perché la medesima scade il 27 marzo 2015. Nell’infornata di provvedimenti della vigilia di Natale era ricompreso anche lo schema di decreto legislativo su “certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente”.
Ma sulla base di questo, in realtà, non vi sarebbe proprio nessuna certezza. Anzi, sembra destinata ad aumentare proprio l’incertezza, lo spazio per le controversie e quello per l’elusione. Quando addirittura non quello della vera e propria evasione. Ma andiamo con ordine, cercando di capire perché.
Il provvedimento è attuazione degli articoli 5, 6 e 8 della delega, ovvero dovrebbe rispondere alla finalità di un riordino della disciplina dell’abuso di diritto ed elusione fiscale (anche in attuazione della Raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012), intervenendo fra, l’altro, in materia di gestione del rischio fiscale, di governance aziendale e di tutoraggio e rivedendo il sistema sanzionatorio penale, tributario e amministrativo. Sebbene il documento risponda ad una effettiva esigenza di certezza del diritto tributario e di porre una linea di demarcazione chiara fra abuso del diritto e pianificazione fiscale, le formulazioni proposte mantengono alcuni margini di imprecisione, i quali potrebbero avere l’effetto perverso di causare danno all’erario, da un lato, e di aumentare il contenzioso con i contribuenti, dall’altro.
Secondo la Commissione europea, “una caratteristica fondamentale delle pratiche” di abuso del diritto tributario “è che esse riducono l’ammontare dell’imposta dovuta mediante operazioni legali […] che sono tuttavia in contrasto con lo scopo della norma”.
La pianificazione fiscale aggressiva consiste nello sfruttare a proprio vantaggio gli aspetti tecnici di un sistema fiscale o le disparità esistenti fra due o più sistemi fiscali, al fine di ridurre l’ammontare dell’imposta dovuta (Raccomandazione 2012/772/UE).
La Commissione raccomandava gli Stati membri l’adozione di “una norma generale antiabuso adattata alle situazioni nazionali, alle situazioni transfrontaliere limitate all’Unione e alle situazioni che coinvolgono paesi terzi”.
La definizione pare limpida e priva di spigolature.
Tuttavia, nel decreto approvato dal Governo, la formulazione viene “arricchita” di termini poco chiari. La nuova figura di “abuso del diritto”, inserito nel cosiddetto ‘Statuto del contribuente’, cancella la vigente normativa in materia di elusione fiscale (art. 37-bis del D.P.R. 600/1973) e viene così definito:
“Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali e indipendentemente dalle intenzioni del contribuente, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” (art. 1 c. 5).
Il diritto europeo impiega invece il termine di ‘costruzione’, intendendo per essa “una transazione, un regime, un’azione, un’operazione, un accordo, una sovvenzione, un’intesa, una promessa, un impegno o un evento” avente il carattere ‘artificioso’, ovvero costituita al solo scopo di eludere il fisco e in quanto priva di ‘sostanza commerciale’, vale a dire non impiegata in quello che dovrebbe essere un comportamento ragionevole in ambito commerciale. Il legislatore italiano circoscrive la norma a operazioni prive di sostanza economica, ma difetta di specificazione quando deve definirla. Introduce concetti come la “non conformità alle normali prassi di mercato”, senza poi spendere parole nel dire cosa intende per esse. A proposito di certezza del diritto, dei rapporti col cittadino e fisco e di affollamento delle aule di giustizia a causa della necessità di chiarire ciò che nella legge è particolarmente indefinito e oscuro.
Questa generale opacità dei termini si accompagna, con la cancellazione della norma sull’elusione fiscale, alla completa depenalizzazione del fatto. La norma è contenuta nella revisione dell’art. 10-bis, comma 13, del citato Statuto del contribuente: esso prevede che le “operazioni abusive non diano luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie”.
Attualmente il reato di elusione fiscale, a seguito di recenti pronunce della Corte di cassazione (Cass. pen., 28 febbraio 2012, n. 7739), può essere sanzionato sia amministrativamente sia penalmente.
Gli schemi più complessi di frode fiscale di rilevante importo, hanno luogo proprio attraverso la predisposizione di schermi elusivi, la cosiddetta pianificazione aggressiva al centro della Raccomandazione della Commissione europea. Se dunque il comportamento elusivo, ai sensi del comma 13, non sarà mai punibile penalmente, ne consegue che — di fatto — il reato di frode fiscale rischia, a sua volta, di essere del tutto svuotato.
Le altre norme, contenute nello schema di decreto e che prevedono la revisione del sistema sanzionatorio — fra l’altro per il ritardato pagamento di IVA — sebbene ispirate dalla consapevolezza della persistenza della congiuntura economica, non contengono alcuna stima circa l’impatto sulle entrate fiscali della estensione di talune soglie di non punibilità. Trattandosi, peraltro, di norme più favorevoli, sono destinate ad avere effetti retroattivi anche nei confronti dei soggetti condannati con sentenza passata in giudicato e, conseguentemente, sulle confische operate. Confische che non sarebbero più effettuabili su beni equivalenti.
Lo schema di decreto legislativo – pur avendo già innalzato le singole soglie di non punibilità per taluni reati fiscali (dichiarazione fraudolenta, false fatturazioni, omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di IVA, indebite compensazioni) — sovrappone a esse la clausola dell’articolo 19-bis, la norma conosciuta come “salva-Silvio”. È come se l’estensore dello schema del decreto, dopo aver riformulato i vari reati tributari ed introdotto ex novo delle clausole di non punibilità o aver innalzato le soglie già previste, abbia infine valutato che ciò non fosse ancora sufficiente e che, quindi, era necessario sottrarre alla sfera di punibilità penale ulteriori condotte di evasione fiscale.
L’articolo 19-bis prevede infatti l’esclusione della punibilità quando l’importo delle imposte evase non è superiore al 3% del reddito imponibile dichiarato o l’importo sull’IVA evasa non è superiore al 3% dell’IVA dichiarata. Per tali fatti è previsto il solo raddoppio delle sanzioni amministrative.
L’esclusione della punibilità trova applicazione per tutti i reati tributari previsti dal decreto n. 74 del 2000 e riformati dallo schema di decreto. Questo anche per le ipotesi più gravi di reato, quali la frode fiscale. L’avverbio “comunque” (“la punibilità è comunque esclusa…”) è indicativo del fatto che questa clausola generale di esclusione della punibilità si sovrappone e prevale sulle altre clausole di esclusione della punibilità specificamente previste nei diversi reati tributari già contemplati.
La soglia del 3 per cento è illegittima sotto molti punti di vista. Infatti, la Corte costituzionale, con sent. n. 247 del 1989 ha stabilito che la legge penale tributaria può legittimamente prevedere aree di non punibilità, a patto che, accanto al criterio percentuale, vi sia anche la soglia a importo fisso (come accade in Francia: la soglia fissa è a 153 euro — ! -).
La fissazione esclusivamente di una soglia percentuale – in luogo di un importo fisso che varrebbe per tutti — contrasta con l’art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo della parità di trattamento, sia sotto quello della ragionevolezza. Verrebbe infatti concessa una soglia di non punibilità più alta proprio a chi ha un imponibile maggiore e — quindi — in termini assoluti risulta un grande evasore. Come d’altronde sarebbe irragionevole e discriminatoria la previsione soltanto di un importo fisso che potrebbe consentire l’evasione di un’ampia fetta delle imposte dovute sui propri redditi ai piccoli contribuenti.
Non è nemmeno chiaro se un’evasione sotto la soglia del 3 per cento sia configurabile come abuso di diritto, quando condotta tramite uno schema elusivo. Si applica la nuova normativa sull’abuso di diritto (disconoscimento dei vantaggi fiscali e rideterminazione dei tributi) oppure il raddoppio delle sanzioni amministrative come recita il 19-bis? E’ chiaro che, se una violazione fiscale non è più punibile penalmente per effetto della clausola generale di non punibilità, quella violazione non è più un reato e non potrà – evidentemente – fungere da “reato presupposto” della ricettazione, del riciclaggio e dell’autoriciclaggio. Anche in questo caso, trattandosi di una depenalizzazione, la clausola di non punibilità è destinata ad incidere anche sulle condanne passate in giudicato, comportando la cessazione sia dell’esecuzione della condanna sia delle confische.
In definitiva sembra che più che alla “certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente” questo decreto lasci molto spazio all’incertezza e alle controversie, rischiando di tutelare, ancora una volta, chi si comporta in modo poco trasparente. Anzi, evasivo.
*Un ringraziamento a Lucrezia Ricchiuti e Andrea Pertici per il contributo alla realizzazione di questo post