Il costo sociale della plastica

Il costo ambientale della plastica è ampiamente noto: isole di rifiuti in mezzo agli oceani, discariche colme di imballaggi indistruttibili. Il costo sociale della plastica è invece difficilmente determinabile perché ha a che fare con una ristrutturazione intera del settore degli imballaggi, ove la plastica trova il suo principale impiego, che non è ancora chiaramente delineata nei suoi impatti più profondi.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Il costo ambien­ta­le del­la pla­sti­ca è ampia­men­te noto: iso­le di rifiu­ti in mez­zo agli ocea­ni, disca­ri­che col­me di imbal­lag­gi indi­strut­ti­bi­li. Il costo socia­le del­la pla­sti­ca è inve­ce dif­fi­cil­men­te deter­mi­na­bi­le per­ché ha a che fare con una ristrut­tu­ra­zio­ne inte­ra del set­to­re degli imbal­lag­gi, ove la pla­sti­ca tro­va il suo prin­ci­pa­le impie­go, che non è anco­ra chia­ra­men­te deli­nea­ta nei suoi impat­ti più pro­fon­di. Un costo pre­sun­to e futu­ro, fat­to di pro­fes­sio­na­li­tà che andran­no disper­se, di lavo­ra­to­ri espul­si dal mer­ca­to, di impre­se o delo­ca­liz­za­te o chiuse. 

La cam­pa­gna #boi­co­tal­pla­stic — alla qua­le abbia­mo ade­ri­to — pun­ta a por­re l’attenzione sull’eccesso di pla­sti­ca negli imbal­lag­gi ed è lode­vo­le l’intuizione di cer­ca­re sur­ro­ga­ti alla tra­di­zio­na­le bot­ti­gliet­ta da mez­zo litro o al con­te­ni­to­re del sapo­ne. Tut­ta­via è in pri­mo luo­go la Stra­te­gia per la pla­sti­ca nel­l’e­co­no­mia cir­co­la­re che la Com­mis­sio­ne euro­pea (ah, la matri­gna Euro­pa) ha pub­bli­ca­to il 16 gen­na­io 2018 a sti­mo­la­re un mer­ca­to iper­tro­fi­co e addor­men­ta­to sul­la dol­ce onda di fat­tu­ra­ti cre­scen­ti. Per­ché la pecu­lia­ri­tà di que­sto set­to­re è il bas­so valo­re aggiun­to del­la pro­du­zio­ne, la cui soste­ni­bi­li­tà finan­zia­ria è det­ta­ta qua­si esclu­si­va­men­te dai costi ridot­ti, dal mar­ke­ting e dagli alti volu­mi di pro­du­zio­ne. Ergo, per sta­re sul mer­ca­to degli imbal­lag­gi in pla­sti­ca occor­ro­no impor­tan­ti inve­sti­men­ti per gene­ra­re gran­di volu­mi di pro­du­zio­ne. In paro­le pove­re, occor­re pro­dur­re più pla­sti­ca pos­si­bi­le altri­men­ti gli inve­sti­men­ti non sono remunerativi.

L’inquinamento del­le acque, dei mari e degli ocea­ni, l’emer­gen­za cli­ma­ti­ca, impon­go­no un ripen­sa­men­to del modo di fare gli imbal­lag­gi e i pro­dut­to­ri non san­no che stra­da pren­de­re. Per­ché il ciclo chiu­so dell’economia cir­co­la­re richie­de che i flus­si dei mate­ria­li post con­su­mo sia­no rego­la­ti e con­trol­la­ti ma nei fat­ti non lo sono e la filie­ra del­la gestio­ne dei rifiu­ti, spe­cie in Ita­lia, è ben lun­gi dall’essere in gra­do di for­ni­re il giu­sto gra­do di sicu­rez­za. Seb­be­ne sia rela­ti­va­men­te faci­le sepa­ra­re gli imbal­lag­gi in pla­sti­ca da tut­ti gli altri rifiu­ti — lo dovrem­mo fare noi cit­ta­di­ni in un siste­ma pre­mia­le di rac­col­ta dif­fe­ren­zia­ta ‘spin­ta’ — è mol­to dif­fi­ci­le inve­ce con­trol­la­re l’adeguatezza degli imbal­lag­gi una vol­ta con­fe­ri­ti nel cas­so­net­to. È il con­te­nu­to dell’imballaggio a deter­mi­nar­ne la peri­co­lo­si­tà e — nel­lo stes­so flus­so — è pos­si­bi­le rin­trac­cia­re imbal­li ali­men­ta­ri, con­te­ni­to­ri di deter­si­vi, con­te­ni­to­ri di sostan­ze noci­ve, sac­chet­ti, gom­me, e via discor­ren­do. I siste­mi di sele­zio­ne pos­so­no tutt’al più sepa­ra­re i rifiu­ti sul­la base del­la fami­glia poli­me­ri­ca di appar­te­nen­za (polio­le­fi­ne o ela­sto­me­ri) ma non sono in gra­do di quan­ti­fi­ca­re il con­te­nu­to resi­duo di sostan­ze peri­co­lo­se. Se da un lato, quin­di, la mate­ria pri­ma secon­da — deri­van­te dal recu­pe­ro degli imbal­lag­gi in un siste­ma di eco­no­mia cir­co­la­re — garan­ti­sce un taglio di emis­sio­ne di CO2 equi­va­len­te pari al 75% di quel che ne sareb­be sta­ta emes­sa pro­du­cen­do mate­ria pri­ma ver­gi­ne da com­bu­sti­bi­le fos­si­le, dall’altro i rici­cla­to­ri non sono al momen­to in gra­do garan­ti­re l’assen­za di sostan­ze peri­co­lo­se nel mate­ria­le rige­ne­ra­to, ponen­do quin­di in esse­re le con­di­zio­ni per la sua inu­ti­liz­za­bi­li­tà. Va da sé che que­sto aspet­to con­fi­gu­ra il man­ca­to rispet­to di due capi­sal­di del­la nor­ma­ti­va euro­pea in mate­ria, ovve­ro la Diret­ti­va imbal­lag­gi 94/62/CE e il Rego­la­men­to n. 1907/2006 (REACH) sul­la mini­miz­za­zio­ne nel pro­dot­to di metal­li pesan­ti e sostan­ze rite­nu­te peri­co­lo­se e noci­ve per l’uomo.

L’incertezza, più che la pro­te­sta, e l’assenza di una rispo­sta tec­ni­ca imme­dia­ta potreb­be quin­di spin­ge­re il mer­ca­to del­la pla­sti­ca ver­so lo stal­lo e una con­se­guen­te riper­cus­sio­ne sui lavo­ra­to­ri, che in Euro­pa sono cir­ca 1,6 milio­ni per 50.000 impre­se. Il fat­tu­ra­to com­ples­si­vo vale 350 miliar­di di euro all’anno. La tran­si­zio­ne al model­lo dell’economia cir­co­la­re dovreb­be sti­mo­la­re le orga­niz­za­zio­ni alla ricer­ca, agli inve­sti­men­ti e ad assu­me­re ulte­rio­re per­so­na­le, ma potreb­be non garan­ti­re una vera ridu­zio­ne del volu­me del­la pro­du­zio­ne e quin­di del mate­ria­le pla­sti­co immes­so nell’ambiente. Il siste­ma del ciclo chiu­so per ora non è sta­bi­li­to in nes­sun pae­se euro­peo e dif­fi­cil­men­te si riu­sci­rà a far­lo negli undi­ci anni rima­nen­ti pri­ma del pun­to di non ritor­no del cam­bia­men­to climatico.

Il costo socia­le, futu­ro, che dovre­mo soste­ne­re, sarà la ricon­ver­sio­ne di un inte­ro set­to­re, dei lavo­ra­to­ri tut­ti o di una loro par­te? Oppu­re il siste­ma tro­ve­rà le solu­zio­ni tec­ni­che e ambien­tal­men­te soste­ni­bi­li per man­te­ne­re gli attua­li volu­mi produttivi?

Il pri­mo docu­men­to sul­la eco­no­mia cir­co­la­re appli­ca­ta al mer­ca­to del­la mate­ria pla­sti­ca è sta­to pub­bli­ca­to nel (lon­ta­no) 2012 con il tito­lo The New Pla­stics Eco­no­my. Volu­to dal­la Ellen MacAr­thur Foun­da­tion, una del­le più impor­tan­ti fon­da­zio­ni ame­ri­ca­ne, ha anti­ci­pa­to (e sug­ge­ri­to) il docu­men­to del­la Com­mis­sio­ne euro­pea. Ciò signi­fi­ca che le par­ti inte­res­sa­te più rile­van­ti stan­no agen­do da alcu­ni anni per man­te­ne­re il busi­ness del­la pla­sti­ca pro­ve­nien­te da fon­ti fos­si­li, pur con degli adat­ta­men­ti. Il rischio repu­ta­zio­na­le deri­van­te dal­le cam­pa­gne di sen­si­bi­liz­za­zio­ne sull’inquinamento degli ocea­ni è sta­to deci­si­vo per sti­mo­la­re que­sto pri­mo cam­bia­men­to: non c’è nul­la di peg­gio al mon­do per un impren­di­to­re di sve­gliar­si un gior­no e tro­va­re su tut­ti i media e i social net­works la foto di una tar­ta­ru­ga con in boc­ca uno dei suoi pro­dot­ti. Ma il tem­po a dispo­si­zio­ne sta per sca­de­re.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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