Il cratere: fra pubblico e privato, tra presente e fame di futuro

Come si sintetizzano mille giorni di emergenza? Una emergenza che è iniziata nell’agosto del 2016 e non ha fine? Cosa è la convivenza con le macerie fisiche e morali di un sisma che ha colpito quattro regioni cancellando dalla cartina geografica i borghi più belli d’Italia?

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Come si sin­te­tiz­za­no mil­le gior­ni di emer­gen­za? Una emer­gen­za che è ini­zia­ta nell’agosto del 2016 e non ha fine? Cosa è la con­vi­ven­za con le mace­rie fisi­che e mora­li di un sisma che ha col­pi­to quat­tro regio­ni can­cel­lan­do dal­la car­ti­na geo­gra­fi­ca i bor­ghi più bel­li d’Italia?

Io abi­to in un pae­se che si chia­ma Gaglio­le e che si tro­va nel­le Mar­che, nel­lo spe­ci­fi­co nell’Alto Mace­ra­te­se. Pri­ma degli even­ti sismi­ci il mio pae­se era abi­ta­to da sei­cen­to per­so­ne. Attual­men­te sia­mo rima­sti in tre­cen­to. Quan­do tor­no a casa la sera tro­vo pochis­si­mo per cui sta­re alle­gra.   

Dopo le not­ti e le mat­ti­ne dell’orrore del­le scos­se (fat­te di tele­fo­na­te ai paren­ti e agli ami­ci per sin­ce­rar­si che fos­se­ro vivi) cosa è suc­ces­so? Il caos. In una sor­ta di allu­ci­na­zio­ne col­let­ti­va (fat­ta di stri­sce ros­se e bian­che, cen­tri di acco­glien­za, pull­man per il tra­sfe­ri­men­to al mare) abbia­mo cer­ca­to di man­te­ner­ci sal­di. Nono­stan­te le sce­ne del tipo “il pavi­men­to che ti si sgre­to­la sot­to i pie­di”, noi abbia­mo cer­ca­to di nor­ma­liz­za­re l’assurdo.

La gen­te ave­va pau­ra di anda­re a dor­mi­re. I più cer­ca­va­no di sta­re all’aperto il più pos­si­bi­le. Chi ave­va lavo­ro ha con­ti­nua­to ad anda­re al lavo­ro, anche se non ave­va più casa. Impren­di­to­ri illu­mi­na­ti ci han­no offer­to un luo­go sicu­ro in cui dormire.

Il pri­va­to ha ini­zia­to a mesco­lar­si col pubblico.

Sono arri­va­ti i decre­ti, gli incon­tri pub­bli­ci in cui le case tro­va­va­no un nuo­vo nome. Da “A” ad “E”. Le “E” sono quel­le da abbat­te­re. Come ci si sen­te a sen­tir­si dire che la casa per cui hai spu­ta­to san­gue ora ver­rà distrut­ta e in un perio­do sto­ri­co impre­ci­sa­to for­se ver­rà ricostruita?

I più fra­gi­li non han­no ret­to. Poli­ti­ci, per­so­nag­gi pub­bli­ci di cara­tu­ra altis­si­ma si sono inte­res­sa­ti a noi. Tro­van­do un ter­re­no spes­so poco fer­ti­le per idee cala­te dall’alto.

Libri e docu­men­ta­ri su di noi. Non ho lo spa­zio di un libro e non voglio fare la vit­ti­ma, nono­stan­te mi ven­ga in men­te “Cri­sto si è fer­ma­to ad Eboli”.

Di cosa abbia­mo biso­gno noi ter­re­mo­ta­ti? Di un futu­ro pos­si­bi­le per i nostri figli. Di lavo­ro, di pro­get­ti con­cre­ti. Le par­ti­te Iva di que­sto ter­ri­to­rio sof­fro­no tan­tis­si­mo. Chi lavo­ra col pub­bli­co (bar, risto­ran­ti, par­ruc­chie­ri, este­ti­ste) vive del­le per­so­ne, ma se le per­so­ne non tor­na­no, come faran­no a soprav­vi­ve­re que­ste tipo­lo­gie di lavo­ra­to­ri? Gli impren­di­to­ri che riman­go­no lot­ta­no per sta­re al pas­so con gli altri che maga­ri sono favo­ri­ti da infra­strut­tu­re miglio­ri (Gaglio­le non è Mila­no e l’A14 non è vici­na). I nostri gio­va­ni, il nostro futu­ro è quel­lo che ci pre­oc­cu­pa mag­gior­men­te. Per­ché non tut­ti pos­so­no fare gli intel­let­tua­li, gli scrit­to­ri, gli archi­tet­ti o i geometri.

Que­sti sono luo­ghi stu­pen­di, ma non pos­so­no solo esse­re un rifu­gio buco­li­co. Noi voglia­mo rim­boc­car­ci le mani­che e voglia­mo un futu­ro pos­si­bi­le. Voglia­mo cre­de­re che que­ste ter­re rinasceranno.

La nostra sfi­da è ulte­rio­re. Noi voglia­mo anda­re con­tro l’evidenza dei fat­ti. Sap­pia­mo benis­si­mo che l’Italia è un pae­se in emer­gen­za, sap­pia­mo che la nostra emer­gen­za (come quel­la dell’Aquila) non può esse­re risol­ta dal volon­ta­ria­to.

Noi voglia­mo rimet­ter­ci in gio­co e lo voglia­mo fare per loro: i nostri gio­va­ni. Voglia­mo che tor­ni­no a sogna­re e a far­lo in gran­de, rea­liz­zan­do le loro aspet­ta­ti­ve. Non voglia­mo sen­tir­ci la peri­fe­ria del mon­do, voglia­mo esse­re un esem­pio di rilan­cio.

Come ci si sen­te a vive­re fra case distrut­te e cre­pe? Come ci si sen­te a vive­re fra gli sca­to­lo­ni per­ché non hai più luo­ghi sta­bi­li in cui met­te­re i vesti­ti? Vor­re­sti che la casa fos­se rico­strui­ta subi­to, che il muro fos­se liscio e che l’armadio fos­se in ordine.

Non vuoi ele­mo­si­na­re dirit­ti, vuoi il giu­sto.

Vuoi soprat­tut­to che il tem­po rico­min­ci a scor­re­re e a far­lo come nel resto del mon­do civi­liz­za­to. Vuoi anda­re con­tro il dato di fat­to. Sen­ti un qual­co­sa che ti ribol­le den­tro. Dopo cen­ti­na­ia di gior­ni dal­le scos­se, tu vuoi anco­ra ave­re il dirit­to di esse­re come gli altri.

Di alza­re il tuo diti­no e di dire: io non mi accon­ten­to, voglio il meglio anche per i miei figli, voglio che loro abbia­no le stes­se pos­si­bi­li­tà degli altri. Voglia­mo che abbia­no gli stes­si stru­men­ti degli altri. Voglia­mo anda­re con­tro cor­ren­te. Voglia­mo che pos­sa­no sce­glie­re qua­le stra­da intra­pren­de­re nel­la vita. Voglia­mo che viag­gi­no, si for­mi­no e deci­da­no se rima­ne­re o anda­re. Voglia­mo dare loro un por­to sicu­ro in cui tor­na­re. Voglia­mo che abbia­no la “liber­tà” di esse­re quel­lo che voglio­no, voglia­mo dare loro le ali per vola­re alto come il gab­bia­no di Livingston.

Non voglia­mo dare loro luo­ghi tri­sti e bui in cui vive­re. Non voglia­mo veder­li per­si e con gli occhi tri­sti e il sor­ri­so scom­par­so. Voglia­mo un pro­get­to con­cre­to che supe­ri l’evidenza dell’emergenza continua.

Se noi “resi­stia­mo” lo fac­cia­mo per loro.

E dopo mil­le gior­ni fra le mace­rie sen­tia­mo che è ora che tut­to ripar­ta, anzi, che quel tem­po dove­va già esse­re ripar­ti­to. Sen­tia­mo che qui c’è mol­to da fare e vor­rem­mo fos­se fat­to subi­to, o, per lo meno, al più presto.

Di cer­to non voglia­mo lascia­re il mon­do come sta. Voglia­mo che que­sto mon­do sia anco­ra miglio­re di come lo abbia­mo tro­va­to. Voglia­mo usci­re dal caos e che tut­to sia in ordi­ne di nuo­vo. Voglia­mo che que­sto stra­no film ini­zia­to in una not­te d’agosto abbia un fina­le “To be con­ti­nued” e non “The end”.

E den­tro di noi sen­tia­mo una stra­na for­za. Quel­la di voler assur­da­men­te tro­va­re la via per rico­min­cia­re ad anda­re avan­ti, nono­stan­te un pre­sen­te fat­to spes­so di un insop­por­ta­bi­le immobilismo.

Lucia Aureli[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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