Il #DDLZan, un approccio giuridico

È in cor­so un dibat­ti­to, pur­trop­po mol­to vio­len­to, sul DDL Zan, che tito­la “Misu­re di pre­ven­zio­ne e con­tra­sto del­la discri­mi­na­zio­ne e del­la vio­len­za per moti­vi fon­da­ti sul ses­so, sul gene­re, sull’orientamento ses­sua­le, sull’identità di gene­re e sul­la disa­bi­li­tà”, dibat­ti­to che, sem­pre pur­trop­po, pre­scin­de dal­le fina­li­tà del­la legge.

Mi sono imbat­tut­to per caso in una discus­sio­ne sull’argomento e andan­do a rileg­ge­re le nor­me (già appro­va­te alla Came­ra), ho rea­liz­za­to come la cri­ti­ca più fero­ce, ma anche quel­la più dif­fu­sa nel­la destra estre­ma, in quel­la mode­ra­ta e pur­trop­po, ora, anche in pez­zi di sini­stra e di ambien­ta­li­smo, riguar­di le defi­ni­zio­ni, in par­ti­co­la­re quel­la di “iden­ti­tà di genere”.

Va det­to, pre­li­mi­nar­men­te, che quel­le defi­ni­zio­ni sono uti­li a indi­vi­dua­re la per­so­na ogget­to di discri­mi­na­zio­ne o vio­len­za, e quin­di l’applicabilità, o meno, del­le modi­fi­che del codi­ce pena­le pre­vi­ste, per­ciò non defi­ni­sco­no l’identità di gene­re in modo asso­lu­to (cioè chi è uomo e chi è don­na) ma rela­ti­vo, cioè spie­ga­no per­ché a cer­te con­di­zio­ni una per­so­na deb­ba esse­re tute­la­ta o un rea­to aggravato.

La defi­ni­zio­ne pre­sen­te nel testo è la seguente:

Per iden­ti­tà di gene­re si inten­de l’identificazione per­ce­pi­ta e mani­fe­sta­ta di sé in rela­zio­ne al gene­re, anche se non cor­ri­spon­den­te al ses­so, indi­pen­den­te­men­te dall’aver con­clu­so un per­cor­so di tran­si­zio­ne”.

Par­to dal­la defi­ni­zio­ne per­ché pro­prio su que­sta si è sca­te­na­ta una tem­pe­sta, basa­ta su un’affermazione ogget­ti­va­men­te non veri­tie­ra e cioè che basti sen­tir­si don­na o uomo (anche se in real­tà pare che il pro­ble­ma sia limi­ta­to al sen­tir­si don­na) per­ché la pro­pria iden­ti­tà di gene­re sia tale, e quin­di tout court esse­re don­na o uomo, quel­la che nel­le card vie­ne defi­ni­ta “auto­cer­ti­fi­ca­zio­ne”.

Ora, entram­be le affer­ma­zio­ni sono fal­se, la secon­da per­ché, come det­to, è una defi­ni­zio­ne fun­zio­na­le all’accertamento del­la discri­mi­na­zio­ne e non asso­lu­ta (ci sono altre nor­me che deter­mi­na­no chi è uomo e chi è don­na ana­gra­fi­ca­men­te, poi ci arri­via­mo) e la pri­ma per­ché, banal­men­te, non cor­ri­spon­de alla definizione.

Non basta la per­ce­zio­ne del­la pro­pria iden­ti­tà come don­na o uomo ma que­sta per­ce­zio­ne deve anche esse­re mani­fe­sta­ta (uso del­la con­giun­zio­ne “e” per dire che devo­no esse­re pre­sen­ti entram­bi i requi­si­ti), indi­pen­den­te­men­te dal­la con­clu­sio­ne di un per­cor­so di tran­si­zio­ne, che, a mio avvi­so, da com­men­ta­to­re, si pre­sup­po­ne esse­re quan­to meno iniziato.

Non è affat­to vero quin­di che, se venis­se appro­va­to, auto­ma­ti­ca­men­te qual­cu­no o qual­cu­na potreb­be “auto­cer­ti­fi­car­si” come don­na o come uomo, così come non è vero che baste­reb­be sve­gliar­si alla mat­ti­na e “sen­tir­si” don­na (o uomo) per esse­re tale e quin­di esse­re tute­la­tə dal­la normativa.

Occor­re che que­sto “per­ce­pi­re” sia accom­pa­gna­to da un “mani­fe­sta­re”.

Ma fac­cia­mo un pas­so indietro.

A nor­ma dell’art. 3 Leg­ge 14.04.1982 n. 164, ora sosti­tui­to dall’art. 31 com­ma 4 del D.lgs n. 150/2011, il Tri­bu­na­le, quan­do risul­ta neces­sa­rio un ade­gua­men­to dei carat­te­ri ses­sua­li da rea­liz­za­re median­te trat­ta­men­to medi­co chi­rur­gi­co, lo auto­riz­za con sentenza.

Tut­ta­via sul pun­to è inter­ve­nu­ta la Cor­te Costi­tu­zio­na­le con la nota (ma evi­den­te­men­te non abba­stan­za) sen­ten­za n. 221/2015 la qua­le di fat­to ha chia­ri­to la non obbli­ga­to­rie­tà del­la pre­ven­ti­va ese­cu­zio­ne dell’intervento chi­rur­gi­co demo­li­to­rio e/o modi­fi­ca­ti­vo dei carat­te­ri ses­sua­li ana­to­mi­ci pri­ma­ri in ordi­ne alla ret­ti­fi­ca­zio­ne anagrafica.

Testual­men­te, dice la Cor­te, La dispo­si­zio­ne in esa­me costi­tui­sce l’approdo di un’evoluzione cul­tu­ra­le ed ordi­na­men­ta­le vol­ta al rico­no­sci­men­to del dirit­to all’identità di gene­re qua­le ele­men­to costi­tu­ti­vo del dirit­to all’identità per­so­na­le, rien­tran­te a pie­no tito­lo nell’ambito dei dirit­ti fon­da­men­ta­li del­la per­so­na (art. 2 Cost. e art. 8 del­la CEDU).

È quin­di la Cor­te Costi­tu­zio­na­le, ben pri­ma del DDL Zan, a rece­pi­re il dirit­to all’identità di gene­re, e non dal 2015 ma già dal 1985, infat­ti così pro­se­gue la pro­nun­zia: Come rile­va­to, infat­ti, da que­sta Cor­te nel­la sen­ten­za n. 161 del 1985, la leg­ge n. 164 del 1982 acco­glie «un con­cet­to di iden­ti­tà ses­sua­le nuo­vo e diver­so rispet­to al pas­sa­to, nel sen­so che ai fini di una tale iden­ti­fi­ca­zio­ne vie­ne con­fe­ri­to rilie­vo non più esclu­si­va­men­te agli orga­ni geni­ta­li ester­ni, qua­li accer­ta­ti al momen­to del­la nasci­ta ovve­ro “natu­ral­men­te” evo­lu­ti­si, sia pure con l’ausilio di appro­pria­te tera­pie medi­co-chi­rur­gi­che, ma anche ad ele­men­ti di carat­te­re psi­co­lo­gi­co e socia­le. Pre­sup­po­sto del­la nor­ma­ti­va impu­gna­ta è, dun­que, la con­ce­zio­ne del ses­so come dato com­ples­so del­la per­so­na­li­tà deter­mi­na­to da un insie­me di fat­to­ri, dei qua­li deve esse­re age­vo­la­to o ricer­ca­to l’equilibrio, pri­vi­le­gian­do ‒ poi­ché la dif­fe­ren­za tra i due ses­si non è qua­li­ta­ti­va, ma quan­ti­ta­ti­va ‒ il o i fat­to­ri domi­nan­ti […]. La leg­ge n. 164 del 1982 si col­lo­ca, dun­que, nell’alveo di una civil­tà giu­ri­di­ca in evo­lu­zio­ne, sem­pre più atten­ta ai valo­ri, di liber­tà e digni­tà, del­la per­so­na uma­na, che ricer­ca e tute­la anche nel­le situa­zio­ni mino­ri­ta­rie ed anomale». 

Con que­sti pre­sup­po­sti, la Cor­te ha rite­nu­to che, lad­do­ve l’art. 1 del­la leg­ge 164/82, come oggi modi­fi­ca­to, sta­bi­li­sce i pre­sup­po­sti per la ret­ti­fi­ca­zio­ne ana­gra­fi­ca del ses­so, indi­vi­duan­do­li nel­le “inter­ve­nu­te modi­fi­ca­zio­ni dei […] carat­te­ri ses­sua­li”, lascia all’interprete il com­pi­to di defi­ni­re il peri­me­tro di tali modi­fi­ca­zio­ni e del­le moda­li­tà attra­ver­so le qua­li realizzarle.

L’operazione chi­rur­gi­ca diven­ta quin­di solo una del­le pos­si­bi­li tec­ni­che per rea­liz­za­re l’adeguamento dei carat­te­ri ses­sua­li e la Cor­te fa espli­ci­to rife­ri­men­to ad una coe­va pro­nu­zia del­la Cas­sa­zio­ne (n. 15138/2015) in cui si sta­tui­sce che “L’in­te­res­se pub­bli­co alla defi­ni­zio­ne cer­ta dei gene­ri, anche con­si­de­ran­do le impli­ca­zio­ni che ne pos­so­no con­se­gui­re in ordi­ne alle rela­zio­ni fami­lia­ri e filia­li, non richie­de il sacri­fi­cio del dirit­to alla con­ser­va­zio­ne del­la pro­pria inte­gri­tà psi­co fisi­ca sot­to lo spe­ci­fi­co pro­fi­lo del­l’ob­bli­go del­l’in­ter­ven­to chi­rur­gi­co inte­so come seg­men­to non elu­di­bi­le dell’ avvi­ci­na­men­to del soma alla psi­che. L’ac­qui­si­zio­ne di una nuo­va iden­ti­tà di gene­re può esse­re il frut­to di un pro­ces­so indi­vi­dua­le che non ne postu­la la neces­si­tà, pur­ché la serie­tà ed uni­vo­ci­tà del per­cor­so scel­to e la com­piu­tez­za del­l’ap­pro­do fina­le sia accer­ta­ta, ove neces­sa­rio, median­te rigo­ro­si accer­ta­men­ti tec­ni­ci in sede giudiziale.”

Ed infat­ti il Tri­bu­na­le, pri­ma di ordi­na­re la ret­ti­fi­ca ana­gra­fi­ca, accer­ta il com­pi­men­to di un per­cor­so far­ma­co­lo­gi­co e psi­co­lo­gi­co, con la par­te­ci­pa­zio­ne neces­sa­ria al giu­di­zio, se vi sono, di coniu­ge e figli, pro­prio per veri­fi­ca­re se il come la per­so­na si “sen­te” cor­ri­spon­da al come si “mani­fe­sta”.

Il DDL Zan e le sue defi­ni­zio­ni sono quin­di per­fet­ta­men­te coe­ren­ti con l’evoluzione legi­sla­ti­va e giu­ri­spru­den­zia­le dell’Europa e del nostro Pae­se, e in tale otti­ca andrà appli­ca­to, veri­fi­can­do caso per caso la sus­si­sten­za dei suoi pre­sup­po­sti, men­tre appa­re giu­ri­di­ca­men­te impro­prio chie­de­re coe­ren­za for­ma­le con nor­me che non han­no alcu­na atti­nen­za (se non per la destra più bece­ra) con la tute­la ver­so le discri­mi­na­zio­ni e le vio­len­ze, come ad esem­pio quel­le che riguar­da­no la gesta­zio­ne per altri (che allo sta­to in Ita­lia per­ma­ne vie­ta­ta e che sarà ogget­to di altre pro­po­ste che nul­la han­no a che vede­re con questa).

Se le moti­va­zio­ni del­la destra sono chia­re, risul­ta dav­ve­ro dif­fi­ci­le com­pren­de­re quel­le che pro­ven­go­no da altre aree, e soprat­tut­to cosa tol­ga a una don­na l’approvazione di que­sto provvedimento.

A me pare che piut­to­sto aggiun­ga, non cer­to tol­ga, tute­le a chiun­que sia discri­mi­na­to o ogget­to di vio­len­za per come è o per come appa­re, quin­di, in ipo­te­si, anche a una don­na, ed è dav­ve­ro com­pli­ca­to capi­re per qua­li moti­vi qual­cu­no che dichia­ra di non con­di­vi­de­re l’impostazione cul­tu­ra­le del­la destra pos­sa oppor­si all’approvazione di un prov­ve­di­men­to di pura civil­tà, in pie­na armo­nia con l’art. 3 del­la Costi­tu­zio­ne, di cui costi­tui­sce un’applicazione con­cre­ta, come il DDL Zan.

 

 

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