[vc_row][vc_column][vc_column_text]«Dallo ius soli non siamo mai stati tanto lontani». Ne “Il capitale disumano” (manuale di analisi e opposizione al decreto Salvini, disponibile anche in versione free) lo abbiamo scritto chiaro e tondo, perché il decreto non interviene solamente sulla gestione dell’accoglienza, ma anche sulla cittadinanza, e lo fa in modo subdolo, introducendo correttivi che possono apparire marginali, ma che hanno effetti devastanti sulla vita di cittadine e cittadini di fatto italiani, ma ai quali non viene riconosciuta la cittadinanza.
Su queste pagine ce lo ha raccontato bene, sulla sua pelle, Elizabeth Arquinigo Pardo, una cittadina peruviana residente in Italia da diciotto anni. Elizabeth ha studiato in Italia, si è laureata in Italia, lavora in Italia e ha presentato domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana. Ora vorrebbe proseguire gli studi all’estero, ma non potrà farlo, se non pregiudicando il riconoscimento della cittadinanza, dato che il decreto Salvini estende a quattro anni il termine della relativa istruttoria, periodo nel quale non potrà cambiare residenza, rimanendo obbligata a soggiornare in Italia.
Il decreto Salvini elimina inoltre un comma dalla normativa vigente, cancellando il termine massimo di due anni per l’emanazione del decreto di rigetto dell’istanza di riconoscimento: non ci sarà più un limite temporale, le persone potrebbero restare in questo limbo a tempo indeterminato. Lo stesso decreto innalza il contributo monetario per avviare la pratica da 200 a 250 euro, e introduce degli elementi ostativi al riconoscimento della cittadinanza. I richiedenti, infatti, «non devono avere, a carico proprio o dei familiari conviventi, provvedimenti dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, giudiziari o di condanna, anche non definitiva, nonché concreti elementi di pericolosità sociale o di non irreprensibilità della condotta. Ai medesimi fini, gli stessi devono avere un reddito non inferiore a quello previsto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria».
Il legislatore è stato chirurgico e diabolicamente accorto, evitando misure che destassero scalpore e investendo su misure che possono apparire marginali ma che pregiudicano nei fatti, in termini burocratici e amministrativi, il diritto al riconoscimento della cittadinanza.
Viene infine introdotto un istituto ad hoc per coloro che non sono italiani per diritto di sangue, ma che hanno acquisito successivamente la cittadinanza. Si tratta della revoca della cittadinanza, introdotta per motivi gravissimi, ma che porta con sé un non detto ancora più grave: chi non è cittadino italiano per diritto di sangue è un cittadino italiano di serie B, impuro, al quale la cittadinanza è stata concessa (e non riconosciuta in quanto diritto) e che quindi può essere revocata.
La mobilitazione al fianco degli Italiani senza cittadinanza deve essere più robusta che mai.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]