E già, il decreto non c’è; ma arriverà, prima o poi. E stupisce che ci sia ancora chi si meraviglia di questa approssimazione nelle modalità di decisione del Consiglio dei Ministri. Non si è forse capito che questo modo di gettare il sasso nello stagno per vedere le onde che fa, prima di mettere definitivamente in acqua la barchetta del provvedimento propriamente normativo, è il metodo usuale del Presidente del Consiglio. Nella sua ottica della “disintermediazione”, questo metodo, insieme con gli inviti urbi et orbi a mandare commenti via mail o (fra poco) in siti dedicati, va a sostituire le interlocuzioni propedeutiche con le rappresentanze sociali e di categoria, cioè con i destinatari diretti e indiretti dei provvedimenti in itinere.
Se questo metodo sia utile allo stesso Presidente del Consiglio per rafforzare la sua leadership mi interessa meno che capire se è utile a una migliore operatività dei provvedimenti, una volta che siano stati definitivamente adottati. Anche volendo prescindere dalle ormai consolidate esperienze di governance in molti paesi europei, è difficile pensare, ad esempio, che nuovi metodi operativi che interessano i diversi livelli della Pubblica Amministrazione possano funzionare presto e bene senza il coinvolgimento degli operatori, la loro responsabilizzazione attraverso la partecipazione e, possibilmente, un’adeguata formazione. Di esempi se ne potrebbero fare molti, ma, in sintesi, leggi e decreti si scrivono sulla carta o sul web: poi bisogna seguirne e curarne l’attuazione con le persone in carne ed ossa, per evitare che si risolvano in un nulla di fatto o, peggio, nello spreco di risorse cui abbiamo assistito troppe volte in passato. E che, davvero, non ci possiamo più permettere.
Ma quello che mi sembra più preoccupante è osservare come questo decreto blocchi l’Italia in una fotografia in bianco e nero degli anni ’50. Investimenti pubblici in strade e ferrovie, incentivi per l’edilizia e ognuno si può fare la casetta come vuole. Concessioni ai privati per scavare alla ricerca di idrocarburi a semplice domanda (ricordate il cane a sei zampe di Mattei?). La definizione dei siti industriali strategici torna al Ministero dell’Economia, come ai bei tempi quando comprendeva anche la delega della Programmazione Economica: solo che i soldi non ci sono più e quindi deciderà a chi darli di concerto con la Cassa Depositi e Prestiti. Insieme decideranno i criteri, evidentemente: quali e con quali competenze non è dato sapere. Gestione ai privati di aree nel Mezzogiorno senza nessun controllo pubblico: il gestore è anche controllore di se stesso. E, per togliere proprio ogni dubbio di contemporaneità, all’ultimo anche rinvio del bonus energetico.okok
Che importa, dirà qualcuno. Ci sarà occupazione. Ma quale occupazione? Lontanissima dalle qualità professionali e dalle aspirazioni dei giovani che, a decine di migliaia (quasi centomila nel 2013), ogni anno vanno a cercarsi il futuro dove possono trovarlo: lontano dal loro paese, bloccato agli anni ‘50.
E, in ogni caso, questo è quello che possiamo leggere nelle bozze che circolano in rete. Nel decreto, chissà cosa verrà fuori. Viva la certezza del diritto.