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Per conoscere e combattere le cause dei cambiamenti climatici e della disuguaglianza sociale e perché si crei un’idea di mondo innovativa e un diverso approccio alla convivenza fra le persone e i popoli è necessario partire dalla scuola, dall’università e dalla ricerca.
Il primo punto dolente sono le risorse.
Dopo 20 anni di tagli, il governo Conte 1 ha tagliato ulteriormente 4 miliardi a Istruzione e Ricerca, il Conte 2 per ora non ha previsto risorse per la Legge Di Bilancio, pur sotto la minaccia di dimissioni del ministro Fioramonti se non arriveranno 2 miliardi per la scuola e 1 per la ricerca.
La spesa per l’istruzione in Italia non arriva al 4% del PIL (nel 2018 è scesa dal 3,6% al 3, 5%), a fronte di una media europea del 6%; assegniamo inoltre solo l’1,3% del PIL a Università e Ricerca, piazzandoci solo al dodicesimo posto tra i Paesi Europei al pari di Portogallo ed Estonia ma molto lontani da Germania e Francia, che investe 1 punto di PIL più di noi.
Un altro aspetto che mi preme sottolineare è che, mentre le sfide della conoscenza sono sempre più internazionali, nel nostro Paese si vuole regionalizzare la scuola. Una pura follia, in netto contrasto con l’esigenza opposta: allargare i confini, armonizzare tradizioni e valori.
Di scuola si riempiono la bocca tutti, perché la politica sa bene che è un tema sensibile su cui si vincono e si perdono le elezioni e le promesse vanno fatte. Però quelle promesse andrebbero anche mantenute.
Stiamo da tempo raschiando il fondo: genitori e insegnanti lo sanno bene. A tanti bisogni le scuole fanno fronte grazie al cosiddetto contributo volontario delle famiglie o alle sponsorizzazioni di aziende ed enti che in cambio si sentono in diritto di interferire nell’offerta formativa.
La nostra scuola ha bisogno di risorse accompagnate da politiche virtuose, specie dove ci sono maggiori difficoltà, in contesti economici e sociali disagiati, nelle periferie: servono forti investimenti per mettere in sicurezza gli edifici scolastici, che sono per la maggior parte fatiscenti e pericolosi per tutte le persone che ogni giorno li frequentano; occorre un percorso di formazione e reclutamento serio e strutturale che garantisca che sin dal primo giorno di scuola ci siano gli insegnanti in classe, specie quelli di sostegno, perché se il diritto allo studio è di tutte e tutti, tanto più è una vergogna che lo Stato lasci indietro quello dei bambini e bambine con disabilità.
Occorre dunque estenderlo – non certo ridurlo – il diritto all’istruzione, che è un diritto di cittadinanza e in quanto tale non è negoziabile, non si può esercitare in modo diverso a seconda di dove si vive.
È necessario colmare il divario delle disuguaglianze, che sta crescendo: abbiamo una diminuzione preoccupante del numero di iscritti all’università, così come preoccupanti sono i dati Istat sul tasso di abbandono scolastico nel 2017: su una media nazionale del 14 %, nelle isole maggiori e al sud supera il 20% ed è proprio su queste Regioni che lo Stato dovrebbe investire a lungo termine. Questo si può fare ideando e coordinando gli interventi a livello centrale, non certo frammentando il sistema di istruzione nazionale.
Per questo, a quei governatori che difendono le loro scelte con l’esigenza di differenziare i modelli organizzativi, dobbiamo rispondere che è sufficiente che lo Stato attui delle politiche nazionali per aiutare le regioni in difficoltà: non è necessario scomodare l’autonomia differenziata, che è uno strumento pericoloso, che mina la funzione statale della Scuola e che ci spaventa molto nella proposta di tutte le regioni che l’hanno richiesta, perché non può esistere una scuola a due velocità, né una scuola condizionata dalla politica locale.
La scuola deve uscire da una logica di mercato e rimanere una funzione statale che garantisca i diritti fondamentali dei cittadini.
Per rimuovere gli ostacoli economici per l’accesso alla conoscenza e al percorso di apprendimento, di formazione e studio dell’individuo, alcune proposte sono immediate e le trovate su IlFirmamento. Ad esempio, rendere gratuiti i libri per la scuola dell’obbligo, fino a 14 anni, intorno a 300 euro per ciascun bambino o garantire il diritto allo studio universitario rafforzando il sistema delle borse di studio, portando la dotazione del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio a quota 850 milioni di euro.
Fino a quando non si deciderà di investire veramente su scuola, università e ricerca, saremo fortemente contrari a che si continuino a foraggiare le scuole paritarie o private e a qualsiasi sgravio fiscale per chi vi iscrive i propri figli.
Il mercato esclude il più debole, la scuola fa esattamente il contrario: include il più debole e gli dà le stesse opportunità.