di Marco Chiauzza
Per il Comitato Scuola di Possibile
Recentemente un comitato studentesco ha proposto di eliminare anche per quest’anno le prove scritte dall’Esame di stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione; e da parte sua il Ministro Bianchi è sembrato simpatizzare per tale soluzione, peraltro da lui stesso già precedentemente ventilata. Ora il Ministro prende tempo, rimandando ai prossimi mesi qualsiasi decisione definitiva in merito. Nell’attesa di indicazioni – che si spera arrivino in tempo utile per adeguare il lavoro di studenti e docenti alle modalità dell’esame — è tuttavia opportuno avanzare sin d’ora qualche considerazione.
Se l’obiettivo della proposta è quello di attenuare lo stress e l’ansia degli studenti al termine di un anno ancora difficile per gli strascichi della pandemia, essa potrebbe pure essere presa in considerazione, anche se merita rilevare che – ad oggi – l’anno scolastico si sta svolgendo in modo sostanzialmente regolare, senza che siano previste sospensioni generalizzate della didattica in presenza; per cui un regolare Esame di Stato con i due scritti – come previsto dalla normativa – sarebbe un importante segnale in vista del tanto agognato – a volte non senza qualche punta retorica — ritorno alla normalità.
Ben più grave sarebbe però se l’intenzione ancora non del tutto esplicitata del Ministro fosse quella di ridurre definitivamente l’esame ad un colloquio generico e poco concludente. Un’ipotesi di tal genere si configurerebbe infatti come un fin troppo facile ammiccamento all’umanamente comprensibile aspirazione di una parte degli studenti ad una facilitazione e banalizzazione del momento conclusivo del loro percorso scolastico. L’ansia e lo stress degli studenti si riducono favorendo lo sviluppo di modalità di insegnamento e apprendimento più coinvolgenti e creative – e non semplicisticamente più facili – nella convinzione che faccia parte del percorso formativo di ognuno anche l’acquisizione della capacità di risolvere problemi e di affrontare gli ostacoli.
Negli ultimi decenni in Italia si è assistito ad una costante diminuzione della competenza linguistica degli studenti, cioè della competenza fondamentale per qualsiasi processo educativo. Per fermare tale degrado culturale non ci si può certo limitare alla riproposizione di metodologie e modelli didattici ormai superati, ma neppure pensare di eliminare dall’Esame di Stato le prove scritte di italiano e delle materie caratterizzanti i singoli percorsi di studio, soluzione che non farebbe altro che avallare il declino ed accelerare una drammatica corsa al ribasso già da tempo in atto.
Non si può insomma sfuggire al sospetto che l’eventuale scomparsa delle prove scritte si configurerebbe come l’ennesima riforma a costo zero, alla ricerca di qualche facile consenso politico presso una parte della popolazione studentesca e delle famiglie, evitando di impegnarsi in un ben più profondo e proficuo processo di innovazione nella scuola, che comporterebbe invece cospicui investimenti, non solo dal punto di vista strettamente finanziario, ma anche in termini di intelligenza e creatività progettuale.