Dopo il decreto sicurezza (l’ennesimo) approvato nei mesi scorsi, dalla Lega arrivano ulteriori emendamenti che colpiscono le manifestazioni e l’espressione del dissenso. In questo caso la legge non è “ad personam” ma letteralmente “ad protestam”: inasprimento delle pene per chi viene accusato di resistenza a un pubblico ufficiale se sta cercando di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica. Come per esempio il Ponte sullo Stretto, feticcio di Salvini e del suo partito. D’altra parte, con un governo allergico al dissenso e al tema del cambiamento climatico non stupisce che le due questioni si incontrino in questo delirio anti democratico e repressivo, con un occhio di riguardo (si fa per dire) per attivisti climatici e manifestanti contro opere faraoniche inutili se non dannose.
Anche se naturalmente la repressione del dissenso e del diritto a manifestare non si ferma certo lì. Ne fanno le spese le manifestazioni pro Palestina, i cortei studenteschi (anche quando gli studenti sono dei minori), persino i giornalisti che cercano di fare il proprio lavoro documentando le proteste.
Ha lanciato l’allarme anche Amnesty International, nel suo report sullo stato di salute del diritto di protesta in Europa, tra leggi repressive e una propaganda pesante e istituzionale che mira a criminalizzare chi manifesta, dipingendo l’attivismo come una minaccia alla sicurezza nazionale. Spoiler: non è buono. E l’Italia, dalle manganellate alle cariche nei corridoi delle università, alla censura giornalistica, arrivando infine alla legiferazione in continua involuzione sul tema, è tra gli stati in cui la soglia di attenzione è particolarmente alta.
Mentre Amnesty continua a chiedere, da anni, che vengano adottati i codici identificativi per le forze di polizia, la Lega fa approvare il raddoppio delle spese di difesa, anticipate, per gli agenti che vengono denunciati, con i soldi dei contribuenti. Il messaggio è forte e chiaro, e inquietante per la nostra democrazia.