Il conclamato Jobs Act alla resa dei conti può essere riassunto così: si tratta di un intervento doping, a breve termine, sul mercato del lavoro destinato a produrre invece danni permanenti nel diritto del lavoro.
L’effetto dopante consiste in questo. Si introduce un doppio e formidabile incentivo alle assunzioni con il cosiddetto contratto a tutele crescenti. Il primo incentivo è costituito dallo sconto fiscale e contributivo introdotto dalla legge di stabilità per gli assunti nel 2015, commisurato in circa 8.000 euro annui per tre anni. Il secondo incentivo, strutturale, cioè permanente, sta nella abrogazione, per i nuovi assunti, della tutela reale contro i licenziamenti illegittimi.
E’ sicuro quindi che nei prossimi mesi vi sarà una specie di boom delle assunzioni con il nuovo contratto e che quindi assisteremo a una campagna mediatica sul successo del Jobs Act, paragonabile a quella che il governo Berlusconi fece a seguito della legge Biagi del 2003, spacciando per incremento della occupazione la messa in regola dei lavoratori rumeni nell’edilizia a seguito dell’ingresso della Romania nella UE. A breve termine l’assunzione con il nuovo contratto a tutele (pseudo)crescenti sarà infatti molto vantaggiosa e in alcuni casi per così dire automatica. Così nella successione di appalti: una norma del decreto legislativo stabilisce infatti che in caso di successione di appalti valga la nuova disciplina. Tutti i lavoratori a cui verrà assicurato il lavoro in seguito al passaggio ad altro appaltatore verranno quindi, formalmente, assunti con il nuovo contratto che consente la liberalizzazione del licenziamento. E’ prevedibile inoltre che una parte dei contratti a termine, che oggi costituiscono la forma predominante di assunzione, verranno convertiti nel nuovo contratto a libera licenziabilità, nel breve periodo molto più conveniente. Al tempo stesso qualche effetto avrà anche la sanatoria prevista dal decreto sulle tipologie contrattuali, che consente ai datori di lavoro che abbiano utilizzato false collaborazioni autonome di liberarsi da ogni gravame retributivo, contributivo e fiscale nel caso in cui convertano i falsi contratti di collaborazione nel nuovo contratto a tutele (pseudo)crescenti entro il 2015.
E’ ovvio rilevare che, esaurito l’effetto doping, tutto tornerà come prima: infatti restano pressoché tutte le forme precarie di assunzione, dal contratto a termine, liberalizzato perché privato di causale, al lavoro in affitto al lavoro a chiamata, fino al lavoro accessorio con voucher, che viene anzi potenziato, così come potranno attivarsi nuove collaborazioni pseudo-autonome e false partita Iva, per le quali resta tutto come prima.
Finito l’effetto doping verificheremo invece i danni permanenti. Il primo di questo è costituito da una disciplina irragionevole del licenziamento, che sancisce una disparità di trattamento tra già occupati e nuovi assunti, che non esiste in alcun paese europeo e che in Francia già anni fa è stata dichiarata incostituzionale. I lavoratori assunti dopo il febbraio 2015 potranno essere licenziati per motivo economico anche se il motivo economico è “insussistente”, salvo un miserabile indennizzo (due mesi per anno di anzianità, se si ottiene una sentenza giudiziaria, un mese per anzianità se si accede alla proposta conciliativa del datore di lavoro, con assegno circolare defiscalizzato e brevi manu). Lo stesso accadrà se si viene licenziati per motivi disciplinari, anche per un inadempimento lievissimo, dato che il decreto governativo pretende persino di abrogare il principio generale di proporzionalità sancito fin dall’art.2106 del codice civile del 1942. Per non dire del fatto che la normativa sulla libera licenziabilità viene estesa ai licenziamenti collettivi, con plateale violazione della legge delega, introducendo anche qui, in caso di violazione delle regole in materia di criteri di scelta, una assurda differenza di trattamento tra nuovi assunti e già occupati. Una mostruosità giuridica che non ha paragoni in alcun paese europeo, che produrrà un contenzioso di rilevanti proporzioni e dovrà essere rimessa al giudizio della Corte costituzionale.
Un grande bluff di cui si dovrà rendere conto quando gli effetti mediatici della campagna in atto verranno chiamati all’inevitabile redde rationem, comprese le favole che si raccontano in materia di estensione degli ammortizzatori sociali, collegati alla storia contributiva e quindi del tutto irrisori per i lavoratori discontinui e stagionali, mentre in parallelo si riducono gli interventi della Cassa integrazione e si va al superamento della indennità di mobilità e degli ammortizzatori in deroga, e in tema di politiche attive consegnate a istituzioni pubbliche del tutto inadeguate e a un surreale contratto di ricollocazione con voucher rinviato a ipotetici interventi regionali.
Tutto quindi dice che siamo di fronte a un intervento tatticistico di breve respiro, segnato da forti contraddizioni interne e largamente propagandistico, che non merita di essere considerato in termini di disegno strategico neppure dal punto di vista critico.